“Rumor” online, ecco i censori ventenni

In by Gabriele Battaglia

Li Keqiang dal vertice di Davos, ospitato a Dalian, nel Nordest della Cina, promette più occupazione nel terziario, convertibilità dello yuan e pugno di ferro contro l’inquinamento. Intanto continua la campagna anticorruzione e contro chi online pubblica informazioni "false". Ma chi sono i veri artefici della censura online? Le prime pagine dei giornali nazionali sono impegnate a glorificare il discorso del premier Li Keqiang al summit di Davos – quest’anno ospitato nella città del nordest cinese di Dalian – e a commentare le prime informazioni concrete sul percorso economico che la Cina sta per intraprendere. Secondo quanto affermato in quest’occasione dal premier, la Cina punterà sull’occupazione nel terziario, promuoverà la convertibilità dello yuan e adotterà il pugno di ferro contro l’inquinamento mettendo per la prima volta sullo stesso piano la crescita economica alla salvaguardia ambientale. Questo a parole.

Nel frattempo non si ferma il giro di vite su funzionari corrotti e blogger indisciplinati. Il più libero quotidiano di Hong Kong South China Morning Post liquida il commento alle riforme con un editoriale che le definisce come “lunghe e costanti”, e si concentra sulle notizie di nuovi arresti e indagini per corruzione. Intanto si stringe sempre di più il cerchio attorno all’ex numero nove della nomenklatura cinese (e protettore del decaduto Bo Xilai di cui siamo ancora in attesa di sentenza) Zhou Yongkang. Ieri hanno messo sotto indagine altri due importanti quadri che hanno fatto parte del suo entourage: Jin Jianping, ex presidente del Tianjin Gas Group e Mao Zhigang che aveva diretto la Banca di Chengdu all’epoca in cui Zhou Yongkang era a capo della regione. 

Ma quello che preoccupa maggiormente è il rinnovato accanimento contro la diffusione dei “rumor” online. Arresti che avvengono mentre ancora si dibatte sul regolamento emesso all’inizio della settimana per cui chi condividerà online per più di 500 volte informazioni considerate false o contrarie all’interesse nazionale sarà punito con tre anni di prigione spariscono nuovi e influenti blogger.

Dong Rubin, in rete “bianmin” ovvero colui che vive sulla frontiera, è stato arrestato dopo che ha criticato online quest’ultimo regolamento. Dong era diventato famoso per aver denunciato la morte di un suo concittadino mentre era sotto custodia della polizia e il tentativo di quest’ultima di coprire l’accaduto. I suoi follower su weibo, il twitter cinese, sono 50mila. Niente se confrontati ai 12 milioni di Charles Xue Biqun, l’imprenditore sino americano arrestato per incitamento alla prostituzione a metà agosto.

Ormai, quello degli arresti legati alle opinioni espresse online è un trend della nuova era Xi Jinping. Nell’ultimo mese, per questo motivo sono state arrestate centinaia di persone. Tanto che Pan Shiyi, che con i suoi 16 milioni di follower su Sina Weibo è tra i personaggi più seguiti del web cinese, è stato ospitato dalla televisione di stato Cctv, per convincere gli ascoltatori della responsabilità sociale dei microblogger.

Ma chi è che controlla il web? Sina Weibo, il twitter dell’ex Impero di mezzo, in Cina vanta mezzo milione di utenti registrati. A Tianjin, una metropoli che dista 30 minuti di treno veloce da Pechino, ha un intero palazzo dove sono all’opera i censori. Ieri Reuters ha fatto uscire una lunga intervista a quattro ragazzi che lavoravano lì (e che per ovvi motivi hanno scelto di rimanere anonimi).

Chi censura i tweet cinesi non sono quindi vecchi burocrati comunisti, ma giovani di una ventina d’anni, spesso laureati, che lavorano per meno di 400 euro al mese. Il sistema di controllo è in buona parte automatico. I computer dell’azienda scansiona ogni post prima che venga messa online alla ricerca di parole “sensibili”, e solo una percentuale di questi post finisce per essere controllata da questi novelli “operai dell’informazione” che decidono se cancellare o meno i contenuti. In media ogni 24 ore si processano manualmente tre milioni di post. E, chiaro, i momenti politicamente sensibili sono quelli in cui lavorano di più.

[Scritto per Lettera43; foto credits: china.org]