Record di disoccupazione giovanile urbana al 21,3%. Studiare non paga più

In Economia, Politica e Società by Serena Console

Il governo spinge i neolaureati verso lavori non qualificati

In Cina sempre più giovani sono disoccupati. I dati dell’Ufficio nazionale di statistica fotografano una situazione disastrosa: il tasso di disoccupazione urbana dei giovani tra i 16 e i 24 anni a giugno ha raggiunto un nuovo record del 21,3%, superando il 20,8% di maggio. L’indice di disoccupazione della popolazione nel suo complesso è rimasto stabile al 5,2%.

Di mese in mese la Cina, che da dopo l’abolizione delle misure Zero Covid parla di ripartenza sociale ed economica, si trova a gestire un fenomeno di ampia portata. Non è la prima volta che Pechino si trova a dover affrontare gli effetti della contrazione del mercato del lavoro. Lo scorso aprile, per la prima volta dal 2018, cioè da quando sono disponibili le statistiche così formulate, la disoccupazione di chi dovrebbe contribuire alla «costruzione della modernizzazione» del paese aveva superato il record di 20%. Ma questi dati, come sottolineato anche da Vittoria Mazzieri su China Files, sono il risultato di un’analisi condotta nei centri urbani e non rappresentano la situazione delle aree rurale del paese, sottostimando il fenomeno. Il tasso di disoccupazione dei giovani nelle grandi città è in aumento da diversi mesi. Ed è destinata a crescere, dal momento che gli economisti prevedono quest’anno un numero record di 11,58 milioni di laureati pronti a entrare nel mondo del lavoro.

Ma, tra l’alta offerta di competenze troppo specifiche dei neolaureati e la scarsa disponibilità di carriere allettanti (con salari sempre più bassi), i giovani sono costretti a reinventarsi e a optare persino per lavori di fascia bassa. Una scelta più che obbligata, da quando Pechino negli ultimi anni ha stretto la morsa sui settori del digitale, della finanza e dei videogame, limitando le opportunità di carriera che prima dell’arrivo del presidente Xi Jinping erano invece l’espressione della crescita e diversificazione del mercato del lavoro cinese.

Il governo ha recentemente lanciato una campagna per convincere i neolaureati a «trovare prima un lavoro e poi scegliere una carriera». Un messaggio demoralizzante per i giovani (e i loro genitori), che alle spalle hanno lunghi anni di sacrifici psicologici ed economici. Basti pensare che crescere un figlio in Cina costa fino a sette volte il prodotto interno lordo pro capite del paese e far concludere il percorso di studi (laurea compresa) fino a 87mila dollari. Una spesa che per molti giovani attualmente disoccupati è stata inutile.

Articolo di Serena Console

[pubblicato su il manifesto]