Si è concluso l’incontro annuale del Comitato centrale del Partito comunista cinese, l’ultimo presieduto da Hu Jintao. Niente è trapelato sulle nomine per il Comitato permanente del Politburo. L’urgenza manifestata dai leader cinesi è stata invece quella di sottolineare la necessità di una base culturale su cui poggiare la ricchezza raggiunta. In altre parole, soft power. L’analisi di China Files e la tag cloud* delle parole del presidente Hu .
È uno degli happening mondiali ammantato di maggiore fascino. Si tratta dell’incontro a porte chiuse dei membri del Comitato centrale del Partito comunista, che ogni anno si incontrano e valutano lo stato dell’arte del paese concentrandosi sugli aspetti politici e sociali su cui puntellare i piani quinquennali economici.
I quasi quattrocento membri dell’élite alla guida del Pcc – e quindi dello Stato – si sono confrontati per quattro giorni a porte chiuse senza che niente trapelasse. Riserbo assoluto è stato mantenuto su quello che in realtà è la vera ossessione di sinologi e osservatori: le decisioni sulle nomine per il Comitato permanente del Politburo, il ristretto gruppo a nove che tiene le redini della Repubblica popolare. Quella appena conclusa è stata l’ultima plenaria presieduta da Hu Jintao che lascerà l’incarico di segretario generale il prossimo autunno dopo due mandati.
Le diverse anime del Pcc devono trovare un accordo per riempire le ultime caselle sui sette che affiancheranno Xi Jinping e Li Keqiang, rispettivamente indicati come successori – quasi sicuri – di Hu e del premier Wen Jiabao. “Il plenum assomiglia al conclave per eleggere il Papa, ma almeno in Vaticano hanno le fumate”, ha confidato al Los Angeles Times il professor Patrick Chovanec, dell’università Tsinghua di Pechino. I possibili candidati sono almeno quattordici. Tra i nomi in lizza, secondo le indiscrezioni, spiccano l’economista Wang Qishan, ritenuto favorevole alla liberalizzazione dei tassi di cambio dello yuan; Li Yuanchao, capo del dipartimento per l’Organizzazione; Liu Yandong, prima donna a poter accedere nel cuore del potere comunista e immortalata questa estate dal Quotidiano del popolo, organo del Partito, accanto al presidente Hu in quella che è sembrata una prova del sostegno alla sua promozione.
Le speculazioni sono però il massimo che si può ottenere. Gli scoop sui retroscena politici, infatti, possono costare il carcere come dimostra il caso di Zhao Yan, collaboratore del New York Times arrestato nel 2004 e condannato a tre anni di reclusione per violazione del segreto di Stato. Aveva anticipato il ritiro dalla politica dell’ex presidente Jiang Zemin.
Il Comitato centrale quest’anno ha sottolineato come il “sistema socialista” sia un valore fondamentale e un’ideologia universale; è importante per l’intero Partito e l’intera società. Hu Jintao nel suo discorso ha anche sottolineato che l’ambito culturale sarà uno dei criteri con cui verranno valutati i quadri di partito all’interno dei meccanismi interni di carriera.
Il tema annunciato, infatti, era lo sviluppo culturale del paese, per creare quelle basi teoriche in grado di reggere l’urto dei cambiamenti mondiali e sostenere ideologicamente lo sviluppo economico cinese. L’ambizione di Pechino – secondo il South China Morning Post – è quella di costruire un soft power che sia in grado di elevarla al rango di potenza globale, capace di diffondere “la sua influenza [culturale] nel modo più ampio possibile”. Nel comunicato finale – ripreso dalla stampa locale e, solo per le parole attribuite al presidente Hu, dalla nostra tag cloud – sono stati sottolineati due punti fondamentali: la Cina da un lato ha bisogno di puntellare la propria cultura e di fornire una bussola socialista alla propria popolazione e dall’altro deve migliorare la sua immagine all’estero.
Quel che resta del plenum è dunque il richiamo di Hu Jintao alla cultura come “fonte di coesione e creatività” per la nazione e metro per giudicare la forza del Paese e la sua competitività; per esportare la propria migliore immagine nel mondo. A sottolineare le conclusioni del Comitato centrale anche un commento di Xinhua, “Perché la Cina si concentra sullo sviluppo culturale”, che mette in evidenza la necessità da parte cinese di trasformare la propria natura all’estero. È il momento dunque di smettere di esportare prodotti e cominciare a diffondere stili di vita e modelli culturali. Il focus e il suggerimento della Xinhua, va soprattutto in direzione della già attiva industria cinematografica e televisiva, vista come una prima testa di ponte per un soft power in grado di fare cambiare la percezione esterna del gigante cinese.
Ma il professore Zhu Dake, della Shanghai Tongji University, ha dichiarato al South China Morning Post, che l’idea di poter gestire la cultura non è così corretta: “si può gestire l’industria culturale, non la cultura. La creatività culturale ha bisogno di libertà e di un sistema di mercato aperto". Zhan Jiang, un esperto di media della Beijing Foreign Studies Univesity, ha specificato anche che un altro punto di discussione importante è stato la rete e il suo controllo anche se non sono stati chiariti i prossimi passi in quella direzione.
* non è ancora online il discorso completo di Hu Jintao. La tag cloud che vi proponiamo si basa sulla traduzione letterale delle parole del presidente Hu Jintao riportate nel comunicato stampa ufficiale del Governo.