Professione Cina – Raccontare la Cina tra mille difficoltà

In Cina, Economia, Politica e Società, Uncategorized by Federico Giuliani

Ne parliamo con Francesco Radicioni ed Eugenio Buzzetti, due giornalisti da anni corrispondenti in Asia rispettivamente per Radio Radicale e Agi.

Francesco Radicioni si è laureato in Filosofia a Roma. Al suo piano di studi ha poi aggiunto la lingua cinese e nel 2005 è volato per la prima volta in Cina per completare le sue conoscenze linguistiche. Nel 2009 Francesco si trasferisce definitivamente a Pechino, dove all’attività linguistica aggiungerà anche quella giornalistica. “Pannella mi chiese di fare delle corrispondenze per Radio Radicale – ricorda Francesco – Il mio percorso come giornalista in Cina è iniziato quindi quasi per caso. C’è stata questa occasione e l’ho colta al volo”.

Eugenio Buzzetti si è laureato in Lettere a Milano, dopo il master in giornalismo ha iniziato lo studio della lingua cinese. Da qui i primi viaggi in Cina e, nel 2007, uno stage all’Ansa a Pechino. Qui si stabilisce come corrispondente Agi. “In tutto avrò fatto in Cina 8 degli ultimi 13 anni – spiega Eugenio – La cultura cinese mi ha sempre attratto e il giornalista è il lavoro che volevo fare”.

All’orizzonte si intravedono subiti i primi ostacoli per chi vuole esercitare la professione di giornalista in Cina. Francesco, ad esempio, è rimasto a Pechino fino al novembre 2017, poi si è spostato a Bangkok. Questa scelta porta alla luce i tanti problemi burocratici. “Prima – spiega Francesco – c’era una politica abbastanza rilassata sulla concessione dei visti, anche non giornalistici. Ma con il passare degli anni ottenere certi tipi di visti è diventato sempre più faticoso. Era costoso, dovevi sempre uscire e rientrare dal paese. Era un incubo, con il rischio che la polizia ti si presentasse a casa continuamente per fare controlli. Oggi da Bangkok continuo a coprire tutta l’Asia senza alcun problema”.

Quando chiediamo cosa è cambiato nel settore del giornalismo rispetto agli inizi, Francesco non ha dubbi: “Sono arrivato in Cina negli ultimi anni dell’amministrazione Hu Jintao. All’epoca si riusciva a parlare con più gente rispetto a oggi, c’era più dibattito a livello accademico. Molte delle discussioni che avvenivano nelle segrete stanze trovavano una qualche forma pubblica, o attraverso i giornali o attraverso questi accademici che parlavano. Oggi questo è molto più difficile per via delle nuove politiche attuate dal governo”. Ci sono anche altri limiti, su tutti l’estrema difficoltà dell’avere accesso a fonti primarie. Se chiedi un’intervista a qualche politico, difficilmente verrai accontentato.

Eugenio ricorda invece la crescita del lavoro, parallelo alla crescita dell’esperienza. “I primi anni erano molto complicati certo, oggi .però ci sono sempre più barriere e limitazioni, un trend che secondi alcuni sarebbe peggiorato con Xi Jinping. Ma anche prima la situazione era simile. Ciò nonostante il lavoro rimane tanto”.

Come cambierà modo di fare giornalismo in Cina? È una domanda complicata, che dipende da come si evolverà la situazione internazionale del Dragone. In base ai futuri rapporti tra Pechino e Washington vedremo quanta copertura verrà data al paese. Se invece un ragazzo volesse intraprendere questo percorso dovrà armarsi di grande pazienza.

“Il mio consiglio – conclude Francesco – è arrivare in Cina con la capacità di arrivare con un’idea ben formata sul paese, ma che deve essere flessibile e pronta a cambiare in corso d’opera. Inoltre la lingua cinese è a mio avviso necessaria, sia per parlare con la gente che leggere social e stampa locale”. La Cina e l’intero continente sono pieni di storie da raccontare. Eugenio consiglia inoltre di utilizzare dei buoni Vpn per riuscire ad accedere a Google senza restrizioni. “Quello che conta è saper trovare le notizie che possano interessare al pubblico di riferimento, che nel nostro caso è italiano. Spesso tali news sfuggono perché non sono coperte dai media internazionali. Ci sono caratteristiche tecniche da rodare. Per quanto riguarda le opportunità, i media stranieri, soprattutto quelli in lingua inglese, di tanto in tanto cercano diversi profili. Il contesto italiano invece è abbastanza piatto”.