Una settimana di emozioni e riflessioni intense: da un lato la necessità di garantire un approccio istituzionale e professionale visto il ruolo di media partner. Dall’altro la gratitudine, la stima e la riconoscenza intellettuale personale nei confronti di scrittori che hanno aiutato a crescere, a non dimenticare, a leggere tra le righe i rapporti di potere, a diffidare di versioni ufficiali non mettendo a tacere il lato “complottista” di ognuno di noi. Quello che intravede e vorrebbe indagare meglio il lato oscuro.
Ed il piacere di conoscere direttamente persone, ancor prima che scrittori, e ritrovare lo spessore delle loro riflessioni scritte, anche nei discorsi e nelle chiacchierate che si sono succedute in questi giorni.
Il piacere inoltre di vedere la sala dell’Istituto Italiano di Cultura piena con oltre 100 persone, con gli organizzatori che si affannano a cercare sedie aggiuntive poiché la platea è accorsa ben più numerosa del previsto. Il riconoscersi in questa riserva indiana di lettori, amanti della parola scritta, del momento in cui lo sguardo si stacca dalle parole, per riflessioni personali indotte da quanto appena letto, o per fantasie che tentano di rappresentare una scena descritta. Ed il piacere di vedere una padrona di casa, la direttrice Alighiero, lasciare la dovuta centralità agli scrittori, veri protagonisti dell’evento.
Sul piacere degli incontri: He Jaohong si è rivelato intelligente e colto così come lo si può immaginare leggendo La Donna Pazza, ritrovando la teoria del Leviatano di Hobbes intrecciata a quella dei bisogni sociali di Maslow: "L’essere umano è un animale sociale, e di conseguenza non ha soltanto bisogni personali da soddisfare, ma anche bisogni sociali che spesso sono incompatibili. Sono queste le due nature dell’uomo. Nella maggior parte dei casi, e per sottomettersi alle esigenze della società o a quelle degli altri, gli uomini sono capaci di inibire, in una certa misura, le proprie aspirazioni. Ma queste inibizioni non hanno nulla di istintivo, ragion per cui bisogna garantire queste esigenze attraverso motivazioni morali, cioè con la forza della legge. Da un punto di vita personale, se si sacrificano i proprio desideri, lo si fa per ottenere ciò che si ritiene abbia maggior valore: l’amore per gli altri o il loro rispetto, l’ammirazione o la riconoscenza da parte della società, o ancora, per tanti altri che non osano confessarlo apertamente, il denaro o le promozioni. Chi può mettersi veramente corpo e anima al servizio del popolo rinuncia a soddisfare i suoi bisogni personali allo scopo di giungere a una certa forma di pienezza spirituale. Questa, forse, è l’unica spiegazione fondamentale a ogni morale sociale o a ogni forma di credenza religiosa".
E stato umanamente piacevole e confortante scoprire che De Cataldo ha un carattere esuberante. Lui e Faletti erano in grado di intrattenere l’intero gruppo, dopo il pubblico, anche di fronte a un bicchiere nelle sere pechinesi. De Cataldo è uno che cita precisamente sentenze, nomi e date della nostra storia per offrire lenti nuove per guardare e capire la particolare realtà italiana. E sia la sua presenza, sia i recenti fatti italiani non potevano che riportare assordanti alcuni righe tratte da Nelle mani giuste.
"Il giornalista sognava un giornale. Il suo giornale. I giornali seminano idee. I giornali creano miti. I giornali controllano coscienze. Aveva già tutto chiaro. Costi redazionali bassissimi, garantiti da un drappello di frustrati da scatenare contro quei soloni dell’intelligentija rossa che li avevano condannati a un rassegnato silenzio. Grandi campagne all’insegna del Nuovo ordine morale e dell’abbattimento dei tabù di una società resa molle, flaccida e femminea dal permissivismo della Sinistra. Qualche apertura sul sociale, per non dichiararsi da subito brutalmente fascisti: gli italiani non erano ancora pronti. Ci sarebbe voluto un pò di tempo. La mutazione del comune sentire doveva passare, almeno nelle prime fasi attraverso una linea sapientemente morbida. Un’apoteosi del suggerire attraverso il dire e non dire. Una capillare opera di rivalutazione dei luoghi comuni che i suoi algidi ex amici intellettuali liquidavano con una sprezzante alzata di spalle. Proposizioni antistoriche? L’avremmo visto alla fine. Quando, un bel giorno, gli italiani si sarebbero svegliati con in testa un mucchietto di idee ben preciso sul loro presente e sul loro Paese. Gli zingari rompono i coglioni. I negri puzzano. Le donne sono tutte troie, e quelle che abortiscono sono le più troie di tutte. I carcerati devono starsene in galera. Tutti hanno diritto di armarsi per difendere la proprietà privata. Quel mattino gli italiani si sarebbero svegliati con lo stupore di scoprire che queste cose le pensavano tutti. Non si trattava che di estrarre, attraverso un paziente lavoro maieutico, il peggio che gli italiani si portano dentro da sempre. In passato l’impresa era riuscita al fascismo. Mussolini non sarebbe caduto se non si fosse illuso di poter fare sul serio il fascista. Mussolini non sarebbe caduto se non si fosse preso troppo sul serio. Prima o poi gli italiani si stancano di quelli che si prendono sul serio. Ma lui non si prendeva mai sul serio. Non prendeva nessuna idea sul serio. Considerava spazzatura il pensiero di destra. Spazzatura il pensiero di sinistra. Spazzatura ogni forma di pensiero. Lui pensava che l’uomo intelligente non si vende mai ad una idea. L’uomo intelligente si concede in locazione a un’idea per il tempo necessario a trarne il massimo profitto".
Passi come questo spiegano le radici della sintonia umana che si è riscontrata, forte, fra De Cataldo e Carlo Lucarelli. Una sintonia che si basa sulla vocazione civile che porta entrambi ad indagare i luoghi oscuri della realtà. Il poliedrico autore di Blu Notte ha più volte ribadito, anche a nome di altri, che il loro fine e’ “indagare sui rapporti difficili dell’individuo col potere, mettendo in scena la parte nera dei meccanismi della nostra società, non perché sedotti dal male, ma perché vorremmo far conoscere questa realtà per riuscire a cambiarla”.
Nell’aiutarlo a ripercorrere i passi di Terzani, abbiamo avuto il piacere di scoprire il lato umanista di Piero Colaprico. Colui che per tanti era stato prima il cantore della decadenza dei costumi politici (ha inventato lui il termine Tangentopoli ai tempi in cui si occupava di cronaca giudiziaria) e poi una guida al lato oscuro di Milano: durante i miei anni di studio nella metropoli lombarda, la città appariva trasfigurata dai romanzi del Maresciallo Binda. Lato umanista che già traspariva nella Quinta stagione del Maresciallo: "Andava avanti perché questo bisognava fare: questo aveva imparato che è la vita. Andare avanti, provare, studiare, resistere, ricordare, non fermarsi, progettare. Verbi di movimento, verbi di sentimento, questa è la via per vivere e non per limitarsi ad esistere." "L’Europa era vecchia, divisa e un pò spocchiosa, come nazione unica era sfilacciata, faceva acqua da tutte le parti, ma in effetti, secondo lui e secondo quello che aveva letto per decenni sui libri di storia, c’era qualcosa che la rendeva un’unica terra: dal dolore e dalla sofferenza non aveva tirato fuori solo la sete di vendetta, la "spirale dell’odio", ma anche tutte le sue bellezze, il suo patrimonio d’arte. La cultura andava imparata perché era il testimone più importante di quanto di buono aveva fatto l’Europa."
Queste parole dovrebbero fomentare il piacere della lettura, fortemente correlato al diritto (e al dovere) di ogni cittadino di essere informato e avere strumenti per capire l’ambigua e contraddittoria realtà in cui viviamo. La cultura è la base della cittadinanza: senza di essa rischiamo – o meritiamo, se neanche la bramiamo – derive che autorizzano la società (stato, istituzioni ed interessi privati) a trattarci sempre più come consumatori, anziché cittadini.