Beijing campione: successi e scandali del calcio cinese

In by Simone

Emil Martinez è un honduregno di 27 anni. Sabato scorso, nella cornice dello stadio dei Lavoratori l’ha messa dentro tre volte. Un hat-trick storico, perché il 4-0 finale del Beijing Gou An contro i malcapitati dell’Hangzhou, ha sancito per la prima volta nella storia della Super League cinese, il trionfo della squadra di Pechino. Gli Yulinjun, “le guardie imperiali”, come sono soprannominati i pechinesi calciofili, hanno trionfato dopo una rincorsa durata tre anni: terzi nel 2007, secondi nel 2008. Nell’anno che celebra i sessanta di Repubblica Popolare, Pechino domina anche calcisticamente. La gioia e l’attesa erano nell’aria fin dalla mattinata di sabato scorso, quando si era sparsa la notizia secondo la quale gli ultras del Beijing avevano chiesto di poter marciare trionfali niente meno che fino a Piazza Tiananmen. La riposta era stata un no secco da parte delle autorità. Incuriositi alcuni stranieri sostavano fuori dallo stadio dei Lavoratori, mentre dentro risuonavano i boati ad ogni goal. Quando mancava mezz’ora circa alla fine della partita lo stadio era circondato da migliaia di forze dell’ordine: soldati, guardie, antisommossa e il consueto numero di poliziotti in borghese presi a filmare, fotografare. Impossibile stare fermi alcuni minuti a guardare quanto stava succedendo. Le marce dei soldati, i movimenti dei mezzi, la solerzia dei vigili, dei volontari a urlare di muoversi, rendevano impossibile la sosta.

A fine partita il pubblico ha preso a uscire tra due ali di forze armate che neanche alla parata della celebrazione della Repubblica. Un segnale per i male intenzionati. Così feste, strilli, urla e clacson ed un corteo improvvisato per alcune vie limitrofe allo stadio. Un corteo in Cina per il calcio, un contrappasso duro da digerire per il corpo di Mao sospeso nel mausoleo di Tiananmen. Poi, oblio. Anzi, in serata i pechinesi passeggianti nel freddo polare che avrebbe anticipato la copiosa nevicata di domenica, già facevano la faccia di chi non capiva la domanda: «Pechino? Calcio? Non mi interessa».

E il rapporto tra cinesi e calcio è qualcosa di contraddittorio: amato, ma poco praticato. Adorato, quello estero, poco considerato degno quello locale. Vero è che la nazionale non si è qualificata, di nuovo, ai mondiali (Corea del sud Corea del Nord, perfino il Giappone andranno invece in Sudafrica, umiliazione difficile da digerire per i cinesi) e che nel corso degli anni il calcio locale è stato scosso da vari scandali che hanno allontanato anche il pubblico dagli stadi. Qualche tempo fa alcuni calciatori vennero sospesi a vita perché rincorsero a calci in culo un arbitro dopo alcune espulsioni discutibili, ma è la corruzione, problema nevralgico dell’intero paese, a costituire la spina nel fianco del football locale. Nel 2001 una squadra vince 11-2 e fa un passo decisivo in classifica. Casualità, si sarebbe detto ai tempi di Moggi in Italia. Poco dopo un altro match finisce 6-0. Gli ultimi quattro gol negli ultimi due minuti di partita. Succede. Uno dei precedenti gol però viene convalidato mentre l’altra squadra non si è ancora completamente disposta in campo. Scoppia un casino e si scopre che società e arbitri erano coinvolti in un giro di tangenti e favori. Fiducia nel campionato completamente persa.

«Un arbitro costa circa 7 mila dollari», aveva tuonato Song Weiping, uno dei proprietari di un team di calcio cinese. Secondo lui nove arbitri su dieci del campionato sono corrotti. «E se non li paghi tu, li pagano gli altri», matematico. Altro che Moggi e la Triade, qui siamo di fronte a professionisti.
Non risultano sequestri negli spogliatoi o rapimenti di calciatori, ma quel che è certo è che il calcio in Cina vive di equilibri che con quanto accade in campo hanno ben poco a che fare. In più non mancano le intemperie dei tifosi, altro elemento che non aiuta la cultura calcistica a sfondare. A metà del 2000 alcuni tifosi vennero arrestati: organizzavano via internet risse dopo le partite. Nel 2002 prima di Brasile Cina ai mondiali uno schermo gigante venne spento dalla polizia perché la folla aveva creato danni, oltre a bloccare il traffico. Poi ci sono i match internazionali, ed ogni volta che la Cina affronta il Giappone è un cinema. Addirittura nei tabelloni luminosi, durante l’inno giapponese compare la scritta che invita i tifosi a comportarsi civilmente. L’invito scatena ancora di più il pubblico e gli insulti contro i giapponesi. Poi, quando accade di perdere, a farne le spese sono i calciatori. Anni fa i tifosi inviperiti contro i propri calciatori, gli rovesciarono il pullman all’uscita dagli spogliatoi.

Ci sono poi statistiche curiose circa i cinesi e il calcio: un cinese è morto d’infarto per un rigore sbagliato dal Portogallo contro l’Angola durante un mondiale. Era da una settimana attaccato alla televisione. Non voleva perdersene neanche una di partita. Perché durante i mondiali i cinesi perdono la testa e non solo: secondo i medici, nel 2006, mondiali in Germania, il 20% dell’aumento dei ricoverati per paralisi facciale, era dovuto a traumi derivanti dall’intensa attività emozionale, scaturita dal guardare ossessivamente i mondiali di calcio in televisione.
Infine, un altro piccolo record per il campionato nazionale cinese edizione 2009 appeno terminato: sui campi di calcio cinesi ha calciato gli ultimi palloni da professionista Damiano Tommasi. Un’esperienza di un anno con il Tianjin e il ritorno in Italia. Ci si augura non per stress.