Gli Annali delle primavere e degli autunni sono uno dei Cinque classici confuciani che ogni letterato della Cina imperiale doveva conoscere. L’alternarsi delle due stagioni scandisce ancora il ritmo della politica cinese. Ieri a Pechino si è aperto il quinto plenum del diciassettesimo comitato centrale del Partito comunista cinese.
L’annuale riunione autunnale del Pcc decide le politiche che in primavera i deputati dell’Assemblea nazionale del popolo dovranno trasformare in legge. L’agenda dell’appuntamento è segreta e così rimarrà anche le discussione dei quattro giorni di riunione a porte chiuse. Dagli articoli pubblicati sulla stampa cinese è tuttavia trapelato che l’economia sarà al centro del dibattito.
Il plenum discuterà il dodicesimo Piano quinquennale (2011-2015), ha scritto l’agenzia ufficiale Xinhua.. La bozza è circolata tra i 300 delegati. Il documento, ha rivelato il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, parla di una spesa di oltre 4mila miliardi di yuan. Soldi che Pechino userà per tagliare le tasse e finanziare l’energia alternativa, la protezione ambientale e le telecomunicazioni. La parola chiave sarà “crescita inclusiva”.
Il crescente divario tra ricchi e poveri preoccupa la leadership pechinese. Disuguaglianza vuol dire malessere. E il malessere mette a rischio la tenuta della “società armoniosa” propagandata dal presidente, Hu Jintao, e dal primo ministro, Wen Jiabao, che da quando si sono insediati otto anni fa hanno puntato ull’attenuazione dei conflitti sociali effetto della crescita cinese. Il numero che turba le stanze di Zhongnanhai -la sede del Pcc- è 0,47: il coefficiente di Gini della Repubblica popolare. Nell’indice di misura della diseguaglianza lo zero rappresenta l’uguaglianza perfetta, di contro l’1 è la disuguaglianza totale. Superare lo 0,4 è un segnale di possibili tensioni sociali.
Tradotto in soldi vuol dire che in media il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna 139mila yuan l’anno (13mila euro circa), contro i poco più di 5.300 yuan del 10 per cento più povero. O almeno queste sono le cifre emerse da uno studio della Credit Suisse. “Il divario tra ricchi e poveri è la dura realtà che il Pcc e il governo dovranno fronteggiare”, ha scritto la Xinhua, “sono questi gli ostacoli per lo sviluppo armonioso del Paese più popoloso al mondo”. Le eventuali tensioni dovranno essere gestite dalla coppia che prenderà il posto di Hu e Wen tra due anni. Allora saranno rinnovati cinque dei nove membri del Politburo, la vera guida del Partito e conseguentemente del Paese.
Il nome indicato come favorito alla successione di Hu è quello di uno tra i suoi vice: Xi Jinping. Figlio di uno dei padri fondatori della Repubblica popolare, Xi è un taizidang, uno dei “principini” eredi dei notabili del partito. È lui che il plenum potrebbe promuovere vice presidente della commissione militare centrale, il ruolo anticamera della segreteria generale e della poltrona presidenziale. La nomina era attesa dodici mesi, ma sfuggì forse per un mancato compromesso tra Hu Jintao e il gruppo legato al suo predecessore Jiang Zemin. I tempi sembrano ora maturi, ma a insediare Xi Jinping è un altro vice presidente, Li Keqiang. Fattosi notare per il suo discorso al Forum economico di Davos può vantare una buona rete di relazioni, un elemento non secondario in una società dove le guanxi, i rapporti sociali, hanno un ruolo centrale. I due dovrebbero comunque formare il tandem al vertice del regime futuro: uno come capo di Stato, l’altro primo ministro. Chiunque sarà il nuovo leader cinese sarà il primo in trent’anni su cui non peserà l’ombra di Deng Xiaoping. Lo stesso Hu Jintao benché salito al potere cinque anni dopo la morte del ‘Piccolo Timoniere’, fu di fatto scelto dal padre delle riforme in Cina.
Alla vigilia del plenum la lettera di 23 veterani del partito che denunciavano la mancanza di libertà d’informazione ha squarciato il velo su quella che dal 1979 è considerata dagli oppositori la quinta mancata modernizzazione del paese: la riforma politica. Una necessità sottolineata negli ultimi tempi dal premier Wen, censurato per questo dai media in patria, e tornata all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale con il Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo, in carcere per aver chiesto riforme pacifiche. Plenum e Nobel hanno trasformato questi giorni in un periodo sensibile per il regime con un giro di vite contro le voci dissonanti. Ding Zilin, anima delle madri di Tiananmen è scomparsa. Mentre Yu Jie, autore di un libro contro il premier è agli arresti domiciliari. Addirittura Hu Deping figlio del defunto segretario riformista del Pcc, Hu Yaobang, si è trovato costretto a smentire alcune dichiarazioni a lui attribuite sui rapporti tra Wen Jiabao e il padre, che il premier considera un suo mentore. “Non ho mai detto che Wen voleva solo rubare un po’ di gloria a mio padre”, ha scritto il giovane Hu, “sono menzogne messe in giro da funzionari che perdono tempo con discorsi senza senso”.