Piazza Italia: verso la fine dell'”autentica esperienza italiana”

In by Simone

I privilegi di certi premier. Berlusconi, nell’ottobre scorso a Pechino, fece anche in tempo ad andare a mangiarsi un paio di pizzette a Piazza Italia, il più grande food center italiano nel mondo. Obama non potrà farlo, al di là dei suoi gusti culinari. Perché Piazza Italia, l’eccellenza gastronomica italiana a Pechino ha inaugurato un anno fa la sua sede sontuosa, ma oggi è chiusa. Ufficialmente, da qualche giorno si sono spente le luci sui prosciutti, i formaggi, le olive, i vini, perfino le galatine, e i koni pizza (novità assoluta sui suoli pechinesi) per rinnovamento dei locali. Giorni fa però alcuni fornitori cinesi di Piazza Italia erano lì davanti: gli era stato detto che sarebbero stati pagati. E più di ogni altra cosa: che presto quel posto avrebbe chiuso. Un laoban, un boss cinese che riforniva di verdura la boutique del cibo italiano, ha detto che dal luglio scorso i pagamenti erano stati improvvisamente dilazionati. «Ci hanno fatto sapere che oggi avrebbero pagato», ha specificato. Invece, niente, non si è visto nessuno. Sarebbero 50 mila euro i soldi in discussione. Ci sarebbe anche dell’altro, naturalmente. Secondo il Legal Evening News, Piazza Italia avrebbe chiuso, perché avrebbe fallito tout court. Troppe perdite, hanno scritto sulla base di testimonianze di persone vicine al food center. Pare che fossero anche saltati stipendi ai dipendenti, un bel casino. A scrivere quello che si vociferava da tempo, ovvero un mesto declino dell’autentica esperienza italiana, come recitava lo slogan, è stato il China Daily, quotidiano cinese in lingua inglese. Il titolo: «Piazza Italia chiude sotto una montagna di debiti». Una foto dell’edificio, a mostrare le porte chiuse, quasi fossero sigillate. Nessuna risposta ai media cinesi dai proprietari. Nel caso, si tratterebbe di un fallimento in gran stile: quando fu inaugurato il centro a Pechino, con la previsione di fare la stessa cosa a Shanghai, Tianjin ed Hangzhou, si parlò di un investimento di circa 9 milioni di euro in totale, con supposti introiti per 40 milioni di euro. Che, evidentemente non sono entrati. E non è neanche la prima volta. Un anno e mezzo fa circa, era toccato a Caffè Parma, altro esperimento di portare prodotti italiani di qualità in Cina. Fallito anch’esso. Il nuovo baluardo asiatico del made in Italy è stato messo in piedi con la creazione della società Trading Argo Crai, nel cui azionariato siedono vari consorzi alimentari, con il supporto di Simest, una finanziaria pubblico privata e dei ministeri dell’agricoltura, del commercio internazionale e della Confagricoltura. Una fotografia impietosa. Nei piani della Little Italy del lusso, 3600 metri quadri, c’era ogni succulento profumo italiano di cui si possa sentire la mancanza a Pechino. Oltre duemila prodotti d’eccellenza, ma evidentemente la presa sui cinesi non è stata delle migliori, complici anche prezzi non troppo agevoli e anche un po’ di presunzione tutta nazionale nel supporre che ciò che è italiano, debba per forza piacere anche ai cinesi. Se confermato, il fallimento sarebbe un bel danno per il tanto decantato made in Italy. Eppure non troppo tempo fa si gridava alla conquista della Cina da parte della gastronomia tricolore di Piazza Italia: a un mese esatto dall’apertura, l’inaugurazione era avvenuta a luglio, nell’ottobre 2008 i dati erano bagnati da spumante italianissimo: «oltre 1.500 i clienti cinesi che ogni giorno affollano Piazza Italia», si lesse. E si snocciolavano record. Per dire il successo fu tale – sottolinearono quelli del Crai – che «furono esaurite in breve tempo le scorte di tortellini, ravioli, aceto e gianduiotti». [foto da China Daily]