Perché già barcolla la pace con la Corea del Nord

In Uncategorized by Redazione

Pyongyang fa saltare i colloqui con Seul e mette in dubbio il vertice con Trump, ufficialmente per via delle esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud. Ma il vero braccio di ferro è nucleare. Kim non vuole rinunciare alla bomba. A meno che Washington non sia pronta a una svolta militare.


Ci risiamo: mentre tutti cominciavano a ragionare sul “dopo” incontro Trump-Kim, proprio il summit previsto a Singapore il prossimo 12 giugno barcolla. Ieri la Corea del Nord ha fatto saltare i colloqui di “alto livello” previsti con il Sud per portare avanti quanto stabilito dai due leader durante lo storico incontro a Panmunjom.

Il motivo: le esercitazioni congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti denominate 2018 Max Thunder e partite l’11 maggio, in una sorta di prova generale di un attacco preventivo ai suoi danni. Usa e Corea del Sud, però, hanno ribadito: i preparativi per Singapore vanno avanti. La posizione di Pyongyang, però, conferma quanto sapevamo: il nodo vero è la questione legata alla denuclearizzazione sulla quale, nonostante i buoni propositi, le due parti sono ancora molto distanti.

Serve immediatamente una precisazione: non sapremo mai i motivi reali dietro questa ennesima prova di forza di Kim, perché quanto sta accadendo, davvero, nel sottobosco diplomatico è sconosciuto ai più. I contatti tra Coree e Usa sono sicuramente in corso ma nessuno sa quale sia l’eventuale punto che avrebbe portato a un’interruzione. La scusa delle esercitazioni utilizzata da Kim, infatti, non sembra reggere granché — anche se Seul si è affrettata a dire che non ci saranno i B52, al centro di una polemica tra Corea del Nord e Usa, quindi potrebbe forse bastare questo a riportare la situazione sotto controllo -. Rimane un fatto: anche questa ultima forzatura di Kim sembra portare al vero motivo di potenziale rottura o incontro senza accordi: la denuclearizzazione unilaterale, come la chiama la Corea del Nord.

Quanto a Singapore e all’incontro del 12 giugno, per ora regna ancora l’ottimismo: né Trump né Kim, in teoria, possono permettersi la figuraccia di fare saltare un summit storico e per di più annunciato da mesi di altri incontri e dichiarazioni mirabolanti. Kim, poi, aveva reso note le ragioni della sua volontà a una de-escalation: Pyongyang ha bisogno di concentrarsi e risollevare l’economia nazionale. Se l’incontro non dovesse avvenire, per Kim non sarà facile, perché è ipotizzabile una forte delusione anche da parte di Cina e Russia, le due potenze che al momento tengono in vita il suo regime.

Su quanto sta accadendo, invece, si possono effettuare diverse analisi. In apparenza la mossa di Kim potrebbe apparire sensata: ma come, sembra dire il leader nord coreano, noi abbiamo incontrato Moon, abbiamo cominciato a smantellare il nostro sito nucleare, abbiamo rilasciato tre prigionieri agli Usa e voi fate le esercitazioni?

Se non che, a quanto è dato sapere, delle esercitazioni Kim era stato informato proprio da Moon. E — sempre secondo Seul — Kim aveva acconsentito, trattandosi di esercitazioni di difesae addestramento di piloti e personale vario. La doccia fredda proveniente dal Nord, quindi, non è stata presa con grande ottimismo da Seul: “la sospensione unilaterale dei colloqui di alto livello tra Sud e Nord col pretesto delle regolari esercitazioni aree tra Stati Uniti e Corea del Sud non corrisponde alla Dichiarazione di Panmunjom concordata dai leader dei due Paesi il 27 aprile, ed è deplorevole”, era scritto nella nota diffusa dal ministero dell’Unificazione nordcoreano.

Cauta Washington. La Casa Bianca ha infatti reso noto di essere “ancora fiduciosa” che il summit tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il leader nordcoreano, Kim Jong-un, si possa ancora tenere. Lo ha detto la portavoce Sarah Huckabee Sanders: «Siamo ancora fiduciosi che l’incontro si terrà e continueremo su questo percorso. Allo stesso tempo, siamo pronti al fatto che potrebbero essere dei negoziati duri».

Eccoci dunque al punto. Premesso che secondo gli esperti si tratterebbe della consueta tattica di Kim, forzare e concedere, quanto ha detto Pyongyang sul rischio per l’incontro di Singapore mette il dito nella piaga. Il regime di Kim ha infatti sostenuto di poter riconsiderare l’idea di avere un summit con gli Stati Uniti se Washington insisterà sull’abbandono unilaterale delle armi nucleari da parte di Pyongyang, attraverso il primo vice ministro degli Esteri, Kim Kye-gwan, in un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa nord-coreana, la Korean Central News Agency, nella tarda mattinata, ora locale.

La Corea del Nord, ha spiegato il funzionario, non è interessata in colloqui «se serviranno solo a metterci all’angolo e costringerci ad abbandonare le armi nucleari», e «sarà inevitabile riconsiderare se rispondere all’imminente summit con gli Stati Uniti». Il comunicato critica le parole del consigliere per la Sicurezza di Trump, John Bolton, e di altri funzionari Usa, secondo cui il Nord dovrebbe seguire il modello libico per il disarmo nucleare e provvedere a un “completo, verificabile e irreversibile smantellamento” del proprio arsenale.

Il riferimento a Gheddafi è stato già usato più volte per spiegare le ragioni di Kim. La curva pericolosa dei negoziati è molto chiara: Pyongyang è disposta a procedere a controlli sulla sua corsa al nucleare solo e soltanto se gli Usa mostreranno la volontà di abbandonare militarmente la Corea del Sud. È ancora questo il punto cardine di un eventuale e reale svolta nella penisola coreana. E Kim lo ha ricordato, dato che il clima si stava eccessivamente rilassando.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]