Di nuovo manifestazioni anti-giapponesi. Nel weekend folle di giovani arrabbiati si sono riuniti di fronte all’ambasciata giapponese a Pechino e hanno ribaltato macchine e attaccato attività commerciali in quasi tutte le grandi città della Cina. Il reportage da Xi’an e il punto di vista della stampa locale.
Le isole Diaoyu – note in Giappone come Senkaku – sono un gruppo di isole del Mar Cinese orientale disabitate, scoperte dai cinesi nel corso del XIV secolo, poi annesse al Giappone alla fine del XIX secolo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, dopo la sconfitta dell’impero giapponese, le isole sono passate agli Stati Uniti che le hanno controllate fino agli inizi degli anni Settanta. Gli Stati Uniti le hanno poi restituite al Giappone, nonostante fossero rivendicate anche dalla Cina e da Taiwan.
Le isole – fino a quest’anno di proprietà di privati giapponesi – sono al centro di una disputa territoriale tra Cina e Giappone che dura ormai da più di un secolo, riaccesa quest’anno dalla proposta provocatoria del governatore di Tokyo di acquistare le isole.
Il governo centrale giapponese ha poi lanciato una seconda proposta – secondo alcuni analisti finalizzata a non peggiorare ulteriormente i rapporti con la Cina – in cui si proponeva di nazionalizzare le Senkaku.
La settimana scorsa il governo giapponese ha dichiarato di aver concluso il processo di nazionalizzazione, scatenando l’ira dell’opinione pubblica cinese.
In particolare, gli studenti universitari hanno dato vita durante il fine settimana a manifestazioni in più di 20 città cinesi, compresa la capitale Pechino dove le proteste hanno avuto luogo davanti l’ambasciata giapponese.
Un funzionario dell’ambasciata giapponese in Giappone citato dal Wall Street Journal, ha dichiarato che queste sono state le più grandi proteste anti-giapponesi dal 1972, anno in cui i due paesi restaurarono i loro rapporti diplomatici.
Il primo ministro giapponese,Yoshihiko Noda, ha disapprovato le violenze contro aziende e residenti giapponesi, soprattutto in vista dell’anniversario dell’occupazione giapponese della Manciura (1931, ma ancora vissuto con coinvolgimento emotivo dal popolo cinese) che ricorre domani.
Al contempo è evidente che nessuno dei due paesi vuole che l’escalation di queste tensioni danneggi le relazioni economiche tra i due paesi. Lo stesso premier giapponese, che pure ha rimarcato la sovranità giapponese sulle isole contese, ha sottolineato che bisogna comunque “tenere la testa sulle spalle”.
La situazione è così tesa che il Segretario della difesa Usa Leon Panetta, è in volo verso Pechino con l’intento di pacificare la situazione. Ieri sera a Tokyo ha espresso la sua preoccupazione che le provocazioni dall’una e dall’altra parte, possano portare a violenza che possa a sua volta degenerare in un conflitto.
REPORTAGE DA XI’AN
Esponendo striscioni tutt’altro che pacifici contro il Giappone ed i "cani giapponesi", i manifestanti hanno dato vita ad una vera e propria "caccia" ai prodotti giapponesi, rovesciando lungo la strada diverse decine di auto Made in Japan, compresa una vettura della polizia.
Molte delle auto prese d’assalto non erano parcheggiate ma avevano gente a bordo, a cui gli studenti hanno intimato di scendere prima di prenderle a colpi di badile e di ribaltarle.
Folle di curiosi si sono accalcate lungo strade e marciapiedi nei pressi del corteo, compresi i molti turisti stranieri presenti in città, per lo più ignari delle ragioni di quanto stesse accadendo e visibilmente preoccupati per la loro incolumità.
Per le strade della città della Cina occidentale, che fa circa 8 milioni di abitanti, il traffico è andato in tilt per l’intero fine settimana, con molte auto che hanno esposto la bandiera rossa a cinque stelle ed altre – di marca giapponese – che hanno percorso lunghi tratti contromano per evitare di incappare nel corteo.
Davanti ad alberghi e ristoranti, che non permettevano a clienti e auto giapponesi di entrare, sono stati esposti striscioni con su scritto "Ridateci le nostre isole Diaoyu. I giapponesi non devono entrare", "Le isole Diaoyu fanno parte del territorio cinese, la loro ‘nazionalizzazione’ ed il loro ‘acquisto’ sono illegali e non hanno validità". Tra i vari incidenti provocati dai manifestanti sono stati riportati anche danni a negozi e ristoranti giapponesi.
PATRIOTTISMO RAZIONALE
L’agenzia Xinhua scrive che “l’espressione patriottismo ha bisogno dell’anima”. La prima pagina del People’s Daily invita invece a un “patriottismo civile” che rispetti la legalità, il China Youth Daily esce con un editoriale contro le violenze e gli atti vandalici che hanno caratterizzato questi due giorni e titola “dal patriottismo al danneggiamento del proprio paese il passo è breve” e il Global Times gli fa eco sostenendo che la violenza non è mai una buona soluzione.
Il quotidiano di Hong Kong Ming Pao racconta come anche a livello governativo le autorità sono spaventate dall’esito di quest’onda di violenza che rischia di essere incontrollabile. Riporta che la polizia di Changsha, della regione dello Hunan, ha diffuso un comunicato in cui esorta le autorità “a farla finita di influenzare gli impiegati ideologicamente” e vieta ai funzionari pubblici di prendere parte alle manifestazioni.
Nella città di Xiamen, nella regione del Fujian, le manifestazioni sono state soppresse. Alcuni media della capitale hanno rivelato di aver ricevuto “ordini dall’alto”: “riportare i sentimenti nazionalisti, ma la presa diretta deve essere controllata. Le interviste ai difensori delle isole Diaoyu sono proibite”. A Shenzhen, un fotografo del South China Morning Post è stato picchiato dalla polizia.
Chissà se il fatto che tra i dimostranti ci fosse qualcuno con un cartello che chiedeva riforme politiche – come riporta il Zaobao di Singapore – abbia influenzato questa ordinanza.
Ma anche se le proteste di piazza devono cessare, la Cina continua a fare la voce grossa. L’edizione per l’estero del People’s Daily scrive che la Cina è pronta “a premere il grilletto e a scatenare una guerra commercaiale contro il Giappone”. Sulla stessa linea il China Daily, che considera le sanzioni sul Giappone un’opzione.
Consola solo l’editoriale di Wang Shuo, il direttore editoriale dell’influente rivista settimanale Caixin, che titola "la guerra non è un opzione".
[Il reportage e le foto da Xi’an sono di Piero Cellarosi. L’analisi della stampa locale di Cecilia Attanasio Ghezzi per Lettera 43]* Piero Cellarosi, sinologo e “sinofilo”, è un esperto in sviluppo umano e sicurezza alimentare. Ha lavorato in un progetto finanziato dall’International Fund for Rural Development (Ifad) delle Nazioni Unite dal 2008 al 2009 come Project Adviser e Food Security consultant nel corso delle fasi svolte in Cina di design, sviluppo e testing del Multidimensional Poverty Assessment Tool. Ama la filosofia e le arti marziali cinesi.