Oggi in Cina – Sesso con minorenni: cortocircuito giuridico

In by Gabriele Battaglia

La Corte suprema del popolo si esprime sul sesso con ragazze minorenni, ma va contro l’Assemblea nazionale del Popolo. La censura e i finanziamenti al settore artistico. Il ricordo di Mandela a tre giorni dalla sua scomparsa. La questione dei visti per i giornalisti del New York Times e Bloomberg. Dopo l’istituzione dell’Adiz, Pechino sostiene che non ci sia rischio di conflitti con i vicini SESSO CON MINORENNI: INDUZIONE O STUPRO?

Una legge fa discutere la Cina e mette l’un contro l’altra armate l’Assemblea Nazionale del Popolo e la Corte Suprema. Le due istituzioni sarebbero in disaccordo sull’abolizione del reato penale che si verifica quando un maggiorenne fa sesso con una minorenne.

La Corte Suprema del Popolo sostiene che il reato di “sollecitare ragazze minorenni alla prostituzione” vada sostituito con quello di “stupro di minorenne”, mentre dall’interno dell’Assemblea Nazionale del Popolo si sollevano molte riserve.
Fare sesso con ragazze minorenni è considerato stupro in molte giurisdizioni, ma l’accusa di “sollecitare ragazze minorenni alla prostituzione” – introdotta nel corso di una revisione del codice penale nel 1997 – ha creato un cortocircuito giuridico. Infatti la pena massima per questo reato è di 15 anni, mentre lo stupro può portare alla condanna a morte.

Da una parte, si sostiene che l’accusa di semplice “induzione” ha fatto crescere i casi di violenza su minori mentre le famiglie non denunciano i colpevoli per paura che la minorenne in questione “perda la faccia”. Dall’altra, si ritiene invece che il problema non sia la legge in sé, quanto la sua messa in pratica. Il dibattito continua.

L’ARTE PENALIZZATA DALLA CENSURA

L’approccio della politica cinese “alla promozione della cultura della nazione all’estero è sbagliata, perché la maggior parte delle produzioni finanziate dal governo sono quelle di acrobazie, arti marziali e canti e danze che rappresentavano soltanto il lato più tradizionale della cultura cinese”.

Parola di Jasmine Jiang, produttrice della Beijing Modern Dance Company, che solleva il problema del rapporto tra arte mainstream – cioè “industria culturale” voluta da Pechino – e arte indipendente, alternativa, autoprodotta.
La questione è politica – il controllo del messaggio culturale – e si traduce soprattutto in finanziamenti che prendono sempre e solo una strada. Ma, sostengono gli artisti “liberi”, questo si ritorce contro la Cina stessa, perché all’estero nessuno prende sul serio i suoi prodotti culturali.

MANDELA E LA CINA

“La grandezza di un leader non dipende da come sale sul palcoscenico, ma da come lo lascia. La grandezza di una rivoluzione non dipende da come inizia, ma da come va a finire”, ha scritto il commentatore della China Central Television, Zhou Qing’an sul suo microblog, commentando la morte di Nelson Mandela.

In Cina, la figura del Premio Nobel 1993 è trasversale e, si potrebbe dire, ecumenica. Piace a tutti. Dal Partito, che ricorda la comune matrice anti-imperialista, ai critici del Partito stesso, che ne sottolineano invece lo spessore in quanto attivista per la libertà. Sulla rete cinese si diffonde una domanda: oggi sarebbe possibile un Mandela cinese? Se sì, come dovrebbe essere?

NYT-BLOOMBERG: CHE FARE?

La questione del mancato (per ora) rinnovo dei visti giornalistici a diversi inviati del New York Times e di Bloomberg tiene banco sui media corporate Usa e nei discorsi della comunità dei giornalisti stranieri a Pechino.
Al di là delle vicende personali dei professionisti coinvolti, si cerca di interpretare la strategia delle autorità cinesi e da più parti si conclude che Pechino ha rinunciato al tentativo di imporsi attraverso il soft power, la capacità di “piacere”: se lo riteneva ancora utile ai tempi delle olimpiadi del 2008, ora, nella nuova veste di superpotenza riconosciuta, non ne ha più bisogno.

E questo punto, ci si chiede come gli Usa possano concretamente reagire, dopo la sottolineatura del problema da parte del vicepresidente statunitense Joie Biden, in visita a Pechino: reciprocità? Negazione dei visti anche agli oltre 400 giornalisti cinesi che stanno in terra americana? In buona sostanza, ci si chiede se intorno alla libera informazione possa aggirarsi lo spettro di una nuova “guerra fredda”.

ADIZ – TUTTO SOTTO CONTROLLO

Mentre anche la Corea del Sud decide di allargare la propria Air Defense Identification Zone, fonti cinesi si dicono sicure che non si stia andando verso nessun confronto armato in Asia Orientale.
“La Cina si è ben preparata per tutti gli scenari possibili, compresi eventuali conflitti tra caccia cinesi e giapponesi”, dice Jin Canrong, della scuola di studi internazionali dell’Univesità del Popolo. “Finché gli Stati Uniti non decidono di mettersi in gioco direttamente, tutto è sotto controllo”.
Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali della stessa università, dichiara che la Cina si è mossa verso l’istituzione della sua Adiz “pazientemente e sapientemente”
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“Ecco perché non abbiamo assistito ad alcun conflitto reale finora, perché tutte le tre parti – Pechino, Washington e Tokyo – hanno fatto sforzi per prevenire eventuali situazioni di confronto militare nei cieli”.

[Foto credits: sulekha.com]