Secondo molti osservatori della realtà cinese, la portata delle riforme uscite dal terzo Plenum avvicinano Xi Jinping più a Deng Xiaoping che a Mao Zedong. La bolla economica dei cartoni animati made in China e le prospettive non proprio rosee del settore. E infine le polemiche sugli aiuti alle Filippine. Denghissimo Xi
Dopo il disvelamento delle grandi riforme cinesi, il dibattito “Xi Jinping è più Mao Zedong o più Deng Xiaoping?” sembra essere giunto a una conclusione: Xi è “denghissimo”, concludono diversi osservatori.
Ferma presa politica sulla società e grande impulso alle riforme di mercato. Il socialismo secondo caratteristiche cinesi trova forse oggi la sua piena realizzazione, con la spinta verso una società più ricca, più soddisfatta e anche più uguale come presupposto per ogni eventuale cambiamento politico. Che comunque, c’è da scommetterlo, vedrà sempre il Partito come protagonista.
Il maoismo implicava grandi movimenti di massa e, almeno durante la Rivoluzione Culturale, critiche e autocritiche rivolte al Partito stesso. Non c’è niente di più alieno di questo nella mente della nuova leadership, osserva Bill Bishop, osservatore di cose cinesi. Certo, Xi ha fatto il suo bravo giro mediatico nei governi locali facendosi fotografare in seduto di autocritica con i funzionari. Ma tutto discende dal – e ritorna al – Partito, che è determinato a evitare il caos come la peste.
Il professore Xiao Gongqin, uno dei massimi teorici cinesi del “neo-autoritarismo” plaude al presidente cinese, “nuova incarnazione del leader modello Deng Xiaoping”: “Xi Jinping segna l’arrivo di un periodo d’oro per il neo-autoritarismo cinese – dice il professore – in questo momento è essenziale concentrare il potere. Ci vuole un uomo forte, un leader potente, e questo tipo di leader deve avere prestigio e anche poteri istituzionalmente garantiti”.
Secondo Chris Buckley del New York Times il varo delle riforme ha rivelato la forza della nuova leadership, che in parallelo alle aperture socio-economiche ha anche creato una nuova Commissione di Sicurezza Nazionale che spazierà dalle questioni interne a quelle estere (e c’è chi si interroga su cosa sia questa nuova “moda” delle commissioni di sicurezza che nascono dagli Usa alla Cina).
E poi c’è il fantomatico nuovo gruppo “centralizzato” (cioè dipendente dai sette membri del Comitato permanente del Politburo, la stanza dei bottoni), che al fianco (o forse sopra) la Commissione per lo Sviluppo e le Riforme sovrintenderà direttamente il grande cambiamento. Insomma, l’immagine da uomo forte di Xi che esce dal plenum appare in netto contrasto con quella del suo predecessore, Hu Jintao, ricordato (e forse a breve dimenticato) per il suo burocratico grigiore.
Sull’altro fronte della barricata, regna lo sconforto tra i sostenitori delle aperture democratiche. E nasce un altro paragone, non più rivolto al passato, bensì al presente: “Vuole essere Putin”, dice Rong Jian, commentatore politico che campa vendendo arte. “Xi ha di gran lunga maggior potere economico fra le mani di quanto ne avesse Deng. Sono risorse enormi, quasi alla pari con gli Stati Uniti. Se vengono utilizzate bene, possono fare una grande differenza; ma se non lo sono, rischiano di provocare danni immensi”.
Una bolla di cartone
Dimenticate quella immobiliare, dimenticate il “credito ombra”. La più clamorosa bolla speculativa cinese è quella dei cartoni animati. O meglio, dei film di animazione. Nel grande piano di promozione delle produzioni culturali autoctone, la Cina decise nel 2005 che in prima serata, sui canali televisivi, non meno del 60 per cento dei film di animazione dovessero essere made in China.
Per potenziare il settore, furono quindi decise politiche che favoriscono i prodotti nazionali: sovvenzioni, semplificazioni nella procedura di approvazione, esoneri dalle tasse, fondi di ricerca, e così via.
In tal modo, la Cina è diventata in breve periodo il principale produttore di animazione del mondo. Nel 2011, ha prodotto più di 260mila minuti di episodi tv, 180 mila minuti in più del “mostro sacro” Giappone. Nel 2012, un totale di 117mila ore di animazione sono andate in onda sulle reti cinesi.
L’effetto negativo di questo boom è stato il proliferare di aziende fake e di progetti fasulli, che nascono come funghi per godere delle generose sovvenzioni senza produrre un bel niente. In otto mesi, sono stati organizzati più di 30 “festival dell’animazione” e oltre 20 città affermano già di essere all’opera per diventare “capitale dell’animazione (dongman zhidu)”.
La politica delle sovvenzioni comporta anche la riduzione significativa del prezzo offerto dalle stazioni TV. Alcune emittenti televisive offrono solo 10 yuan al minuto per le produzioni.
Così, alcuni esperti ritengono che il 2014 sarà la Waterloo dei film di animazione cinesi. “Per quanto ne so, è rischioso che così tanti film di animazione si precipitino in questo mercato immaturo. È probabile che non ci sia nessun vincitore”, dice un insider del settore.
Chiedi e ti sarà dato
La Cina è in attesa di un riscontro ufficiale da Manila dopo che ha offerto di inviare squadre di soccorso e medici nelle Filippine, poco più di una settimana dopo il devastante tifone Haiyan, che ha colpito l’arcipelago.
Il governo cinese aveva inizialmente offerto 100mila dollari di aiuti in seguito al disastro naturale, ma ha poi alzato la sua offerta di ulteriori 1,6 milioni di dollari nella giornata di giovedì.
Data la potenza economica di Pechino, gli impegni erano stati criticati da più parti come poca cosa e la Cina era stata accusata di far pesare il proprio conflitto diplomatico con le Filippine sulle rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale.
Ora la nuova offerta sembra rimettere le cose a posto e fonti del governo filippino rivelano che Manila “non è nelle condizioni per giudicare se un contributo sia generoso o meno”, mentre in Cina il dibattito continua. Alcuni osservatori ritengono che quello cinese sia stato solo un ritardo dovuto alla poca dimestichezza nella gestione delle emergenze internazionali e che Pechino volesse prima avere un’idea chiara della dimensione del disastro. Intanto, sui social network, c’è chi preferirebbe che i soldi destinati alle Filippine “che odiano la Cina” siano destinati ai bambini poveri “che non possono andare a scuola”.
[Foto credits: bloomberg.com]