Ieri sembrava il vincitore. Oggi il movimento lo mette ancora in difficoltà. Si continuano a chiedere le sue dimissioni, un gesto che lui ritienie impensabile. Da sempre più fedele a Pechino che alla sua stessa città, ha fallito nel compito principale di ogni funzionario cinese: quello di mantenere l’ordine. E ora deve risolvere questa situazione. Da solo.
Leung Chun-ying, il lupo. Un personaggio scaltro e segnato dalla sua mancanza di integrità. L’uomo che adesso è stretto tra le manifestazioni a favore della democrazia che hanno bloccato la sua città e il regime autoritario di Pechino non è mai stato particolarmente amato. Figlio di un poliziotto, ha studiato in Gran Bretagna e ha lavorato nell’immobiliare. Poi si è arricchito.
Negli anni Ottanta ha aiutato la classe dirigente cinese ad aprirsi al mercato, specie quello immobiliare. Come perito ha lavorato a Singapore, a Shenzhen e a Tianjin divenendo consulente onorario per le riforme della terra a Shanghai. E sin da quando è entrato in politica a Hong Kong è stato accusato di stravolgere il mercato immobiliare a favore delle classi più abbienti. E nonostante questo di essere filo Pechino.
Una delle frasi che gli è stata più spesso rinfacciata è stata a proposito del Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Leung rispose candidamente che “avrebbero dovuto darlo a Deng Xiaoping”, l’architetto della nuova Cina. Da allora è stato chiaro che era più fedele a Pechino che alla sua stessa città. Ma questo non gli ha impedito di vincere l’ultima campagna elettorale a colpi di scandali.
Secondo molti, l’appoggio che avrebbe ricevuto dalla Cina continentale gli sarebbe valso molto più del suo carisma personale. Si è insediato quindi il primo luglio 2012, rompendo una tradizione. Ha pronunciato il discorso che inaugurava la sua legislatura in cinese, e non in cantonese, la lingua locale. Da allora non ne ha fatta una giusta.
Addirittura lo scorso inverno due attivisti hanno gli hanno tirato Lufsig, un lupo di peluche Ikea che da allora è diventato uno dei simboli delle proteste democratiche. Sold out nel grande magazzino svedese. E ora, sembrerebbe, nemmeno Xi Jinping è contento di lui.
Certo, Pechino non può permettere che cinque giorni di manifestazioni portino alle dimissioni di un suo funzionario. Ora Leung deve tenere duro e risolvere questa situazione. Ma la responsabilità principale di ogni funzionario cinese è quella di mantenere l’ordine, la famosa “società armoniosa”. E in questo Leung ha oggettivamente fallito.
[Scritto per il Fatto Quotidiano]