“Non siamo macchine per fare figli”

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

No alle “donne come strumenti riproduttivi”. E’ l’appello veicolato in rete da Lü Pin, una delle femministe cinesi più note, in risposta alla nuova politica cinese sulle nascite che consentirà alle coppie sposate di avere tre figli anziché due. “Lo stato continua a utilizzare le donne come strumenti riproduttivi per aumentare il tasso di natalità senza mai riflettere sulle restrizioni coercitive alla nascita”, commenta l’attivista, alludendo a decenni di pianificazione famigliare, sterilizzazioni e aborti forzati. Secondo Lü, il nuovo piano demografico “è destinata a fallire” fintanto che “le diffuse discriminazioni nei confronti delle lavoratrici madri rimarranno impunite”.

Quella della giovane attivista non è una voce fuori coro. A giudicare dai commenti in rete, non sono poche le donne cinesi ad aver reagito con rabbia alla strumentalizzazione del diritto alla maternità per perseguire gli “interesse nazionale”. Per far fronte al vertiginoso calo delle nascite, da alcuni anni la propaganda ufficiale promuove un ritorno delle donne dietro le mura di casa, sponsorizzando un revival della tradizione patriarcale confuciana in completa controtendenza rispetto alla linea progressista del periodo maoista. Un voltafaccia che ha mandato su tutte le furie le femministe cinesi.

Giovani e istruite, queste attiviste sono figlie della classe media urbana. Utilizzano i social network, abbracciano i valori democratici e sempre più spesso si schierano apertamente contro il governo su questioni spinose che trascendono le istanze femminili, come la repressione di Hong Kong e le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Proprio la trasversalità sembra essere la nuova cifra del femminismo cinese post-#MeToo. [SEGUE SU LEFT]