Nascere con il sesso sbagliato in Cina

In by Simone

C’è una buona notizia per i cinesi che sentono di essere nati col sesso sbagliato. Il Ministero della sanità cinese, dopo cinque mesi di dibattito interno al paese, ha finalmente definito il regolamento per le operazioni di ri-attribuzione chirurgica di sesso.

La prima transessuale a essere riconosciuta dalla Repubblica popolare è stata Jin Xing (nella foto), un colonnello che faceva parte del corpo di danza dell’esercito popolare di liberazione. Era il 1995 e l’omosessualità in Cina era ancora un reato. Jin Xing ha lavorato e lottato duramente fino a divenire un’icona della danza moderna a livello mondiale. Nessuno poteva più impedirle di fare del suo corpo ciò che voleva e il Partito non ha avuto altra scelta che accettare la sua decisione. Oggi Jin Xing è una coreografa di successo che vive a Shanghai, ha sposato un tedesco e ha adottato tre figli.

La sua vicenda è stata a lungo l’unica a ricevere l’attenzione dei media e ancora oggi non ci sono dati e statistiche ufficiali sul numero di transessuali che si sono sottoposti alle operazioni chirurgiche. Secondo l’agenzia di stampa Sina, il primo intervento di questo tipo è avvenuto nel 1990, ma fino ad oggi nessuna legge si era occupata di regolarizzare il fenomeno. L’agenzia di stampa Xinhua stima che mille cinesi si siano già sottoposti all’intervento di chirurgia. Secondo il China Daily, giornale di stato in lingua inglese, sarebbero invece duemila i cinesi che sono già stati operati, mentre tra i 100 e i 400 mila quelli in attesa di poterlo fare.

Il nuovo regolamento prevede che potranno operare solo i chirurghi con almeno dieci anni di esperienza specifica accumulata in ospedali riconosciuti dalle autorità  sanitarie. I pazienti dovranno aver compiuto venti anni, dovranno avere la fedina penale pulita, non essere sposati, possedere "documentate ragioni psicologiche per divenire transessuale" ovvero aver desiderato l’operazione per un periodo di tempo di almeno cinque anni (e non è dato sapere come si possa dimostrare tale requisito), aver vissuto come membro dell’altro sesso per almeno due anni, essere stati in analisi per almeno un anno e aver informato la famiglia sui propri desideri. Come se non bastasse la polizia dovrà autorizzare il cambiamento di sesso sul documento di identità e non è chiaro in quali casi possa rifiutare l’autorizzazione.

E’ contento, ma non del tutto convinto Qiu Renzhong, famoso bioetico dell’Accademia delle Scienze sociali di Pechino. Gli abbiamo chiesto via email cosa pensasse di questi nuovi regolamenti. Il dottor Qiu ha posto l’attenzione sul delicato percorso psicologico che può portare una persona a decidere di cambiare sesso e sulle implicazioni sociali che questo comporta. "E’ raro che un transessuale viva e lavori come fosse un membro dell’altro sesso prima di operarsi" dichiara Qiu, secondo il quale è comunque apprezzabile "l’attenzione dimostrata dal governo verso una minoranza".

Anche Chen Huanran, noto chirurgo plastico specializzato in questo tipo di operazioni, è soddisfatto: "Finalmente la Cina ha un regolamento sulle operazioni per il cambio di sesso – dichiara ai microfoni del Global Times, e aggiunge – è un fatto veramente importante dal momento che la legislazione sui transessuali rappresenta in qualche modo il grado di sviluppo di una civiltà". Il dottor Chen è un chirurgo dell’Ospedale di chirurgia plastica di Pechino. Dal 1990 ha condotto a termine oltre duecento operazioni di cambio sesso. Joanna McMillan nel suo libro Sex, science and morality in China ha descritto il dipartimento dell’ospedale in cui lavora. Nel corridoio c’è un cartello in inglese: Gender Confirmation Clinic. In cinese, il termine "genere" non è molto usato, così come è raro trovare accenni alla "conferma di genere". Secondo Chen, invece, questa è la maniera migliore per verbalizzare un argomento così delicato. L’uso del termine transessuale o di cambio sesso (in cinese l’espressione più usata: bian xing) pongono l’accento sul fatto che un individuo di un certo sesso viene chirurgicamente trasformato in un individuo dell’altro sesso. Chen, invece, crede fermamente che un individuo, ad esempio di sesso maschile, possa sentirsi intimamente donna o "semplicemente preferire di vivere la sua vita in un corpo da donna". La chirurgia, secondo il suo parere, aiuta a sanare la distanza tra quello che un individuo è e quello che vorrebbe essere.

Secondo Chen, però, è grave che i nuovi regolamenti non specifichino le procedure dettagliate e i criteri da seguire. Il costo dell’operazione, infatti, è molto alto (nel 2005 era di 300 mila yuan, circa 30 mila euro) e molti istituti se ne approfittano tanto che il professore afferma che "il 60 per cento dei pazienti viene a correggere un’operazione sbagliata". La sua stima è confermata indirettamente da un’inchiesta del Giornale della sera di Chongqing (Chongqing Wanbao) che cita diversi ospedali e cliniche private che accettano qualsiasi cliente purché abbia il denaro necessario.

Più dura Han Bingbing, la bellissima transessuale cinese che quest’estate ha cercato marito dalle pagine del suo blog e la cui vicenda è stata ripresa, con conseguente eco mediatica, anche dal People’s Daily. Han afferma che questo regolamento è inadeguato: "Non sono indicate le procedure pre e post operatorie. Se la Cina vuole confrontarsi con l’Occidente, su questi argomenti deve ancora fare molta strada". Insomma, il cammino è lungo, ma la direzione è quella giusta.

La letteratura cinese classica descrive un mondo in cui diverse forme di sessualità  sono normali e largamente diffuse. La Cina comunista, invece, ha considerato il fenomeno di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali una “pratica decadente” importata dall’Occidente; fino al 1997 l’omosessualità era considerata un reato e solo nel 2001 è stata cancellata dalla lista delle malattie mentali. Se negli anni ’80 e ’90, gay e lesbiche erano costretti a incontrarsi segretamente, oggi ci sono bar, luoghi di ritrovo e organizzazioni che difendono i diritti degli omosessuali. Proprio nel 2001 a Pechino venne organizzato il primo festival di cinema gay. Dovendo chiedere l’autorizzazione alle autorità competenti, gli organizzatori sostituirono la parola gay con il termine tongzhi, compagno, un termine che nella Repubblica popolare era ancora collegato al  linguaggio comunista. Grazie a questo stratagemma fu possibile avviare il festival e il termine tongzhi divenne sinonimo di omosessuale.

Attualmente in Cina si contano tra i trenta e i quaranta milioni di omosessuali dichiarati e proprio a giugno di quest’anno a Shanghai è stato organizzato il primo Pride. Ma se la tolleranza verso un diverso orientamento sessuale sta crescendo nelle città e negli strati più benestanti della popolazione, nelle immense campagne cinesi l’omosessualità è ancora considerata un handicap o un tabù. A questo si somma la pressione che le famiglie esercitano sui giovani per farli sposare e fargli mettere al mondo “discendenti”.

Li Yinhe, una sessuologa cinese particolarmente attenta ai diritti degli omosessuali, ha recentemente messo in luce che l’80 per cento degli omosessuali maschi non ha mai fatto outing ed è regolarmente sposato per nascondere i propri orientamenti sessuali. Le loro mogli, le homowives, sarebbero circa 16 milioni. Queste donne si interrogano sull’assenza di desiderio manifestata dai mariti, con conseguenze psicologiche devastanti. Alcune di loro hanno lanciato un movimento: l’ultima donna a sposare un omosessuale sono io. Attraverso l’informazione vogliono prevenire la possibilità che una donna sposi un omosessuale senza saperlo e, attraverso un sostegno psicologico e finanziario, vogliono aiutare chi è sposata a ottenere il divorzio.

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