Nǚshu: a Milano calligrafia al femminile

In by Simone

Sabato 18 settembre alle ore 18.00 presso la Libreria delle donne di Milano è stata presentata la nuova associazione “Yuemo. Il piacere dell´inchiostro” (www.yuemo.it), fondata da Reine Berthelot, Laura Modini, Tiziana Straccini ed Edo Perinelli. L’associazione si propone di diffondere la cultura estremo orientale partendo dalla elegante calligrafia cinese, diffusasi poi anche in Giappone e Corea.

Durante questo primo incontro è stato anche proiettato il cortometraggio “Caratteri (hanzi)”, della giovane milanese Eleonora Bellini. La regista ha ripreso la maestra Reine Berhelot al lavoro con i suoi allievi, tentando di dare risposte al perché si possa oggi desiderare di dedicarsi alla calligrafia cinese.

Grande curiosità è stata mostrata dal pubblico, una sessantina di persone circa. Può la calligrafia essere definita un´arte? Reine Berthelot rispondendo affermativamente ha sottolineato la differenza tra la percezione dell’arte in occidente e oriente, dove una mostra può essere dedicata esclusivamente all’esposizione di scritti in hanzi nelle più diverse forme e tutti rigorosamente su carta di riso.

A Milano la nuova Associazione Yuemo sta organizzando per ottobre proprio una mostra di sola calligrafia cinese del maestro Nagayama Norio.

Una domanda venuta fuori più volte: in base a cosa si decide il valore di uno scritto? È possibile distinguere un calligrafo da un altro? Reine ha spiegato che ogni volta che si scrive c’è differenza. Quando si copiano i caratteri cinesi essi non risultano mai uguali tra loro: la calligrafia è appunto l’insieme dei caratteri scritti, le proporzioni, gli spazi pieno e vuoto, la grazia delle linee leggere e la forza dei tratti pieni. Insomma anche qui è una questione di proporzioni.

Reine oltre ad essere una calligrafa è anche un artista e ha cercato di mostrare, con l’aiuto delle opere esposte, la bellezza dell’insieme, il tratto deciso e morbido, spiegando che spesso le calligrafie sono brevi pensieri compiuti in poesie classiche.

Laura ha spiegato come, per lei, fare shufa è una forma di meditazione, un controllo del proprio pensiero e del movimento della sua mano, per ottenere quel caratteristico segno pieno di forza e nello stesso tempo di fragilità, riuscire a realizzare quell’unico tratto di pennello che rende il senso del tutto, come racconta nel suo libro Fabienne Verdier, unica francese che negli anni ottanta è riuscita a vivere la vita di una qualunque studentessa cinese, studiando calligrafia per oltre quattro anni con grandi maestri sconosciuti al mondo occidentale. Il libro citato è “La passeggera del silenzio” (di Fabienne Verdier, ed. Tea 2007).

Laura Modini (attiva da oltre vent’anni alla Libreria delle donne sia come libraia che come promotrice della politica della differenza) ha inoltre parlato di come le donne hanno partecipato alla creazione della shufa, introducendo al pubblico la grande calligrafa Wei Furen (272-349). Fu infatti lei la prima a stabilire le regole per la scrittura regolare, creando un unico carattere (yong, eternità) che comprende gli otto tratti di pennello che servono alla scrittura cinese. Fu suo allievo Wang Xizhi (303–361), diventato poi a sua volta prestigioso calligrafo e portato a modello ancora oggi.

Prima della proiezione del documentario, Laura ha illustrato il nǚshu, una scrittura che si potrebbe definire una “stenografia” mutuata dagli hanzi stilizzati. Essi conservavano il suono, ma mutavano di significato secondo il contesto. Questo permetteva un grande risparmio di segni: per scrivere di tutto ampiamente bastavano settecento nǚzi. L’affascinante scrittura creata dalle donne a loro esclusivo uso e consumo, uno strumento che le ha sorrette nei secoli in una vita terribile. Esse scrivevano i segni del nǚshu sia su carta (famoso il “Libro del terzo giorno”, raccolta di pensieri che si regalava alla neosposa il terzo giorno dal matrimonio) che sui ventagli. Inoltre lo ricamavano su fazzoletti, tovaglioli, tende, pezzuole di tela nelle più diverse forme, tagli e colori.   

E’ stato constatato che proprio nei territori dove si praticava il nǚshu la percentuale dei suicidi femminili (elevatissima date le condizioni di vita al limite dell’umano) era notevolmente bassa, questo a spiegare che le donne comunicando le loro sofferenze, gioie (poche) e speranze praticavano una specie di lotta di resistenza.

Il documentario “Nǚshu – Il linguaggio segreto delle donne cinesi”, della regista Yang Yueqing (Francia/Cina 2007, 55´), sottotitolato in italiano, ha avuto grande successo tra il pubblico presente, dove con grande attenzione si sottolineavano i passaggi con suoni di tristezza ma anche di risate sommerse nei momenti particolari e di rassegnata gioia. In Italia è stata per prima Ilaria Maria Sala a parlare di nǚshu su Il Manifesto e su Noi Donne nel 1991. Ha ripreso poi l´argomento con un inserto sulla rivista politica della Libreria delle donne di Via Dogana nel n. 6 del 1993. Nel 2005 Federico Rampini ha scritto un esauriente articolo su LaRepubblica e ancora LaRepubblica è tornata sul tema con un nuovo articolo a cura di Giampaolo Visetti nel gennaio 2010.

Laura ha ricordato che una docente universitaria giapponese, Orio Ende, da quindici anni studia e segue tutto ciò che riguarda il nǚshu. Il suo sito (eccezionale, ricco, dettagliato e dal quale sprigiona autentico amore e passione per questa scrittura segreta) – The world of nǚshu –  in giapponese e in inglese, è una fonte incredibile di informazioni, immagini e stato degli studi ad oggi.

Laura ha proposto alla fine la lettura del libro “Fiore di neve e il ventaglio segreto” (di Lisa See, ed. Longanesi 2006), dove l’autrice per ben quattro anni ha letto e studiato tutte le raccolte e gli scritti rimasti in nǚshu. Il risultato è un romanzo estremamente toccante e profondo.