Arginare la censura, senza credere ai miracoli

In by Simone

Quando si parla di censura in Cina bisognerebbe sempre fare alcune opportune premesse, in modo da regolare ogni evento all’interno di un ambito del "possibile", senza cadere in facili entusiasmi o preoccupazioni eccessive. Specie per gli stranieri, infatti, la censura cinese è qualcosa di facilmente aggirabile, anche senza avere alcuna nozione di programmazione e particolari skill tecnologici.

Come sottolinea il noto blogger cinese Wen Yunchao aka Bei Feng  in un suo recente articolo, bisogna distinguere tra la censura che viene effettuata rispetto a quanto arriva dall’esterno e la censura "interna". Questa seconda, complessa, fatta di "armonizzazione" e commenti pilotati sui forum, direttive dal ministero della propaganda – o della Verità – riguarda una minima parte di laowai, ovvero gli stranieri, perché coinvolge oltre ai cinesi solo chi legge la lingua e chi quotidianamente scruta tra le pagine web ufficiali cinesi, alla ricerca di qualche dimenticanza governativa.
Per censura esterna – quella notoriamente nota come la "censura cinese" – ci riferiamo al Great Firewall, ovvero a quel sistema che permette di bloccare la chiamata dalla Cina alle pagine indesiderate. I casi più noti: Facebook, Twitter, Youtube, ma anche molte piattaforme di blogging e più recentemente anche Dropbox (oltre a molti siti di informazione sulla Cina). In questo caso il governo cinese vuole evitare che i cinesi possano accedere a contenuti ritenuti sensibili e ospitati su piattaforme straniere. La rete cinese, in pratica è una grande Intranet: per accedere a quei servizi censurati in Cina, bisogna fingere di effettuare una chiamata come se si fosse in un altro Paese.

Questi accorgimenti infastidiscono non poco gli stranieri che messo il piede all’aeroporto di Pechino vogliono subito twittare l’esperienza dell’atterraggio, mettere su facebook la prima cinesata comprata o la prima foto di qualche stravaganza culinaria cinese. Sorpresa: tutti questi tool, non funzionano. Almeno in prima battuta. Per chi volesse provare l’ebbrezza, tempo fa la Firefox aveva sviluppato China Channel, un’applicazione che permette anche agli utenti del "mondo libero" (siamo poi così sicuri che solo in Cina esistano forme più o meno evidenti di censura?) di provare sul proprio schermo cosa significa navigare nella Terra di Mezzo.

Specificato quindi che l’intenzione del governo di Pechino è quello di bloccare queste piattaforme considerate rischiose per i propri netizens, va però chiarito che, data la scarsa rilevanza che il governo cinese in generale nutre sulle opinioni degli stranieri, fatta la legge, trovare l’inganno è piuttosto semplice. E’ stata, da sempre, una gara: per molto tempo andando su youtubecn.com si riusciva a vedere Youtube in Cina. Poi è stato reso innocuo, ne sono nati altri e la corsa tra soluzione e "armonizzazione" sembra esaltare entrambe le parti in una infinita rincorsa.

La soluzione più immediata per navigare su tutto quanto è navigabile anche dalla Cina, è quello di utilizzare siti che permettano la visualizzazione di quanto viene normalmente bloccato: btunnel.com ad esempio, permette di vedere i siti bannati e di accedere anche alle pagine di Twitter e Facebook. Da btunnel.com però, spesso non potrete postare, quindi aumenterà la frustrazione.

Non sarà allora difficile imbattersi in banner fatti ad hoc per stranieri, che pubblicizzano proxy e vpn: è questa la soluzione migliore, ovvero uscire dalla rete cinese e fare la chiamata ai siti desiderati da un IP non cinese. Hotspot shield è gratuito, ma volendo andare sul sicuro si possono anche acquistare: alcuni offrono il servizio a 4 dollari al mese e funzionano sempre (oltre a consentire la scelta dell’IP: ad esempio scegliendo un proxy italiano si può accedere allo streaming delle televisioni on line nazionali, altrimenti non consentite all’estero). Le stesse regole valgono naturalmente anche per i cinesi, nonostante sia una minoranza chi, rispetto al totale degli users, utilizza frequentemente siti bannati, così come non tutti i netizens locali possono permettersi il pagamento di un proxy tramite una carta di credito straniera.

Con riferimento a Twitter, invece, il suo aggiornamento anche dalla Cina si può arginare in vari modi: o con un proxy, oppure basta usare un’applicazione (per i meno sgamati anche friendfeed) dall’Italia, agganciando il proprio blog al proprio account Twitter. Una volta in Cina, aggiornando il proprio blog, sempre non sia bannato, si potrà anche aggiornare il proprio Twitter in automatico, come dimostra la recente esperienza della giornalista del Sole 24 Ore e come molti operatori della comunicazione in Cina fanno da tempo. Se però anche il blog fosse bannato, non resta che il proxy come soluzione.

Sull’uso di Twitter in Cina, infine, una curiosità sportiva: nell’ultimo gran premio a Shanghai i piloti minacciarono un boicottaggio se non avessero potuto usare il proprio account Twitter per comunicare con i propri fans. Nonostante la poca attenzione dei cinesi alla formula 1 e ai problemi esistenziali dei piloti, qualcuno deve avere suggerito la scappatoia "proxy" e perfino i piloti hanno potutto twittare serenamente.

Ovviamente sarebbe meglio non dover trovare soluzioni, digitare un indirizzo e navigare liberamente, ma come ci ha spiegato Ai Wei Wei, artista e attivista cinese, vero e proprio Twitter addicted, "è tra le difficoltà che si sviluppa l’intelligenza".

[Anche su wired.it] [Immagine da http://www.dansadventure.co.uk]