Moving Image in China: 23 anni di videoarte

In Uncategorized by Redazione

Finalizzata a far conoscere le articolazioni di un linguaggio insieme sofisticato (per le implicazioni tecnologiche e concettuali) e popolare (schermi e monitor sono ormai ovunque), per i curatori He Juxing, Guo Xiaoyan, Zhou Tiehai e Marco Bazzini, la mostra è anche un bilancio di quello che finora è stato fatto in Cina nel campo del video sperimentale, o “immagine in movimento”.
Lungi dall’essere un’imitazione dell’omologa versione occidentale, la videoarte in Cina raccoglie e rielabora la specificità dell’arte cinese attraverso il dispositivo del video.


[Zhang Peili, 30×30, 1988. Still da video. Courtesy of Zhang Peili and Museo Pecci]
Il percorso critico si suddivide in quattro sezioni che rimandano a diverse fasi storiche: la necessità di storicizzare il “movimento” non rende pienamente giustizia alla varietà di temi e approcci.

Ma spiega in modo esaustivo, evitando banalizzazioni, le tappe di una ricerca individuale e collettiva, che riflette l’evoluzione degli artisti e i momenti specifici di un periodo racchiuso entro le parentesi rappresentate dal lancio delle prime riforme economiche alla fine degli anni Ottanta (nel 1988 iniziano anche le prime sperimentazioni degli artisti col video) e dalle Olimpiadi di Pechino (2008).

I lavori della prima sezione denominata “Giudizio negativo dei media e riflessione biopolitica”, realizzati tra il 1988 ed il 1993, sono contraddistinti da una forte impronta sperimentale e dall’urgenza di sfidare le convenzioni nell’arte, nella società e nella politica, in un contesto di commercializzazione e “mediatizzazione” della vita quotidiana (proprio in quegli anni il televisore inizia a entrare nelle case dei cinesi).

Gli artisti di questa sezione – Zhang Peili, Qiu Zhijie e Yan Lei – hanno esplorato per primi il video in Cina: i loro lavori documentano azioni, affermazioni non-verbali in cui il corpo e i suoi gesti, volutamente privi di uno scopo evidente, riacquistano centralità.

In 30×30 di Zhang Peili viene ripresa la rottura di uno specchio in frammenti e la ricomposizione dei pezzi con la colla, in un ciclo reiterato per tutta la lunghezza della registrazione (180 minuti): insieme allo specchio, quello che viene rotto e forzosamente ricomposto è il legame tra azione e reazione.



[Veduta delle sale espositive con il video di Yang Fudong, “Yejiang / The nightman cometh”, 2011, Still da video, Courtesy of ShangArt Gallery, Shanghai, and Museo Pecci, Prato]

La seconda parte del percorso – “L’analisi grammaticale e la formazione del video” – comprende gli anni dal 1994 al 1999 e include lavori in cui l’attenzione ossessiva per le azioni-reazioni del corpo viene diretta e reindirizzata verso il tessuto sociale e urbano: dal netto rifiuto del presente storico si passa all’osservazione critica dello spazio di esistenza sociale.

Il video-documentario di Wang Jianwei dal titolo Production (1996), restituisce lo spazio sociale di una casa da tè del Sichuan come luogo di produzione: non industriale ma di concetti, relazioni e immagini.

La terza sezione presenta video realizzati dal 2000 al 2005, che si confrontano con la “Coscienza, poetica e sensibilità nella pratica dei new media”.

Nei primi cinque anni del terzo millennio la Cina ha affrontato la normalizzazione del vertiginoso sviluppo economico del decennio precedente, accelerato dalle riforme economiche che aprivano la strada al mercato, al capitalismo e alla privatizzazione.

In questa fase molti artisti scelgono di ricorrere all’allegoria come strumento per parlare del presente, nell’impossibilità di catturare qualcosa che sfugge per definizione, e a maggior ragione in Cina.

Come nel video di Yang Fudong Backyard: Hey, Sun is Rising! (2001): una storia in bianco e nero che mostra l’incongruenza delirante della vita nella grande città come uno sketch da film muto, ma senza alcuna leziosità o indulgenza.

Factory (2003), dell’artista taiwanese Chen Chieh-jen, trasforma l’esperienza traumatica della perdita del lavoro in poema lirico per suoni e immagini, in cui ex-operaie tornano nella stessa fabbrica a distanza di anni per essere filmate, in una forma di recitazione che è molto più che finzione e messa in scena, ma evocazione e materializzazione del ricordo.



[Chen Chieh-jen, Factory, 2003, Still da video Courtesy of Studio Pesci]

La quarta sezione (2006-2011) è denominata “Limiti: l’immagine in movimento si diversifica”: giunta al limite delle sue esplorazioni la videoarte non può che trovare nuove strade e nuove piattaforme, adottando sistematicamente la tecnologia informatica e digitale come supporto ma anche come argomento di rielaborazioni visive in cui trova spazio qualsiasi elemento.

La vita affettiva e le nuove dinamiche di interazione sociale, l’industria e i suoi obiettivi, la cultura commerciale ormai perfettamente integrata ma forse non del tutto digerita, e persino una rinnovata consapevolezza dell’arte tradizionale.

Si passa così dai Cosplayers (2004) di Cao Fei, giovani eroi metropolitani immaginari che fanno del travestimento una tattica di fuga ma anche di conquista degli spazi abbandonati o invisibili della città, alle animazioni di xilografie di Sun Xun, con il suo Beyond-ism (2010).

Per Zhang Peili e per Yang Fudong, presenti alla mostra, il video è solo uno dei mezzi espressivi a disposizione, scelto per la sua neutralità (una volta venuto meno l’apparato ideologico implicito nei media ufficiali), che consente di valutare e riprodurre “liberamente” la realtà.

L’estetica della noia spesso associata ai lavori di Zhang deriva dalla percezione del tempo che il video più di ogni alta forma consente, dalla riflessione sull’esistenza e dalla presa di coscienza che ne consegue.

Parlando di mercato, Yang critica le dinamiche per cui la quotazione di un artista ne attesta l’effettivo valore: una posizione tanto più significativa se applicata all’arte cinese, da tempo sbrigativamente etichettata come “fenomeno”.

Moving Image in China non si limita a far conoscere al pubblico italiano ed internazionale la videoarte cinese, ma la Cina tutta, o almeno un aspetto inedito della sua cultura: quello più riflessivo e insieme tecnologico, in cui si integra la critica della contemporaneità e la contemporaneità critica.

In modo ancora più significativo fa conoscere la Cina – così grande da rischiare continuamente la dispersione – ai cinesi. Così, oltre a mettere insieme e mostrare al pubblico documenti preziosi che testimoniano una fase cruciale della storia recente, rielaborata da sensibilità “patologiche” all’opera, la mostra rivela l’autonomia che il paese sta rivendicando per se stesso e per la propria arte.

La curatrice Guo Xiaoyan fa notare che il valore di una simile mostra non consiste solo nella conoscenza che diffonde, ma nei legami che che costruisce e rinforza nel momento della diffusione.

Vedere la partecipazione divertita e spontanea della comunità cinese di Prato (e di altre città) fa pensare che la vera integrazione passi in primo luogo per una presa di coscienza che deve interessare non solo la popolazione da integrare ma anche quella che integra, accrescendo in questo processo la conoscenza di sé e dell’altro.

*Mariagrazia Costantino si è laureata in Lingua e Letteratura Cinese all’Università di Roma “La Sapienza” nel 2003. Dal 2000 al 2006 ha soggiornato per lunghi periodi in Cina. Ha studiato all’Università Normale di Pechino e alla Beijing University; è stata inoltre borsista ministeriale all’Accademia Nazionale di Belle Arti di Hangzhou e tirocinante presso l’Istituto Italiano di Cultura dell’Ambasciata d’Italia a Pechino. 
Nel 2007/2008 ha frequentato un Master in Media and Film presso la SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra e ha da poco conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Cinema presso il Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre, con uno studio sulle rappresentazioni dello spazio urbano all’interno delle culture cinematografiche dell’Asia Orientale durante tutto il Ventesimo e l’inizio del Ventunesimo secolo. È coautrice di Arte Contemporanea Cinese (Electa) e ha contribuito alla stesura del testo World Film Locations: Beijing.

[Copertina: Yang Fudong, Backyard: Hey, Sun is Rising! (2001), Still da video, Courtesy of Yang Fudong]