Memi. I virus della mente in un sistema autoritario

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24) Strategie di comunicazione, campagne d’opinione e guerriglia mediatica. Accanto a brand e multinazionali, anche gli stati combattono una battaglia minuto per minuto per controllare la nostra attenzione. E la Cina sta preparando le sue carte.
La posta in gioco è l’immaginario, quel luogo nella nostra testa dove si formano le opinioni e maturano le decisioni politiche, magari scegliendo un modello al quale ispirarsi. Perché puoi conquistare le riserve naturali e i mercati, puoi avere a disposizione riserve monetarie e un esercito in grado di dissuadere (quasi) chiunque, ma se non riesci a vincere i cuori, ci sarà sempre qualcuno che metterà in discussione il tuo ruolo. 

Anche se studi da superpotenza.  Anche se sei la Cina del 2012.

Le direttive – analizzate ormai fino alla noia da media e sinologi – sono in circolazione dalla chiusura del Plenum del Comitato centrale, nell’ottobre scorso. Per i vertici del Partito comunista cinese, il 2012 è l’anno in cui “incrementare il soft power della Cina nel mondo” e “rafforzare la sicurezza sul fronte culturale”.

Una doppia operazione, che da un lato consiste in una nuova stretta sui social media – ad esempio attraverso pressioni sul “twitter cinese”, Weibo, per portare a 20 milioni i fan di Guo Mingyi, il “superminatore” tutto d’un pezzo che pare uscito da un manuale di propaganda. Dall’altro, in un’opera di seduzione nei confronti dell’Occidente, per diffondere un’immagine positiva della Cina.

L’articolo del presidente Hu Jintao pubblicato sul magazine del Partito a inizio gennaio non lascia spazio a dubbi: “L’influenza culturale della Cina non è pari al suo status.La cultura internazionale dell’Occidente è forte, ma noi siamo deboli. Potenze internazionali ostili alla Cina stanno rafforzando i loro tentativi di occidentalizzarci e dividerci”. La Cina del 2012, insomma, si sente un gigante economico, una potenza politica, ma è ancora un nano culturale.

A fine gennaio il tycoon cinese Bruno Wu fallisce la scalata degli studios che hanno prodotto blockbuster come Twilight e Pulp Fiction, ma non si perde d’animo e rilancia con un fondo da 800 milioni di dollari dedicato agli investimenti all’estero per le aziende cinesi dell’entertainment.

Secondo alcuni Wu è il “Murdoch dell’Impero di Mezzo”, per altri è anche la longa manus di Pechino su Hollywood. Non importa: la sua storia dimostra comunque che anche nel campo del divertimento di massa, la Cina vuole esprimere la sua visione

Ma se alla fine del capodanno cinese i film più visti nelle sale cinematografiche erano Sherlock Holmes- Gioco di Ombre e Mission:Impossible- Protocollo Fantasma, mentre Pechino non riusciva a piazzare agli Oscar neanche The Flowers of War, forte di un nome di richiamo come Christian Bale, allora forse la strategia culturale ha qualche problema. 

Chi sa indicare un bestseller cinese capace di successo all’estero senza trattare temi scomodi per il governo? Un brand che se la gioca alla pari con i colossi internazionali? Un intellettuale celebre per appoggiare la linea di Pechino? Perfino un campione come Yao Ming è diventato eroe nazionale soprattutto perché giocava in NBA.

Dietro lo pseudonimo Marcela si nasconde un’europea che conosce a fondo la Cina e lavora ai massimi livelli per uno dei più importanti gruppi pubblicitari del mondo. Il suo mestiere: formare le strategie con cui si adattano le campagne globali allo spirito di Pechino, dialogando quotidianamente con censura e propaganda.

Secondo Marcela un buon punto di partenza sono i serial stranieri, vietati sulla tv cinese, ma di enorme successo sul web: “Bene, – dice la stratega europea-  e qual è la serie tv più scaricata in assoluto dai cinesi? ‘Gossip Girl’. Made in Usa. Gossip Girl, secondo me, spiega perfettamente perché al momento la Cina non riesce a produrre un prodotto culturale blockbuster in grado di affascinare l’Occidente e allo stesso tempo veicolare il suo messaggio”. 

Gossip Girl racconta le vicende di un gruppo di adolescenti dell’alta società newyorchese. Si tratta di un caso interessante perché è l’esatto opposto di quant’è stato fatto finora con il product placement, la strategia di piazzare marchi e prodotti all’interno di film e telefilm. Se prima s’inseriva il prodotto in maniera funzionale a trama e personaggi, questa serie è un gigantesco spot televisivo creato apposta per consentire ai protagonisti della vicenda di mostrare marchi e prodotti.

Forti di questo successo in Cina, i produttori di Pechino stanno studiando una versione cinese di Gossip Girl – racconta Marcela – con protagonisti e vicende cinesi. Ma i brand? Quelli, difficilmente saranno Made in China”.

Secondo Marcela, il caso evidenzia due debolezze: la prima è l’impossibilità per il Gossip Girl cinese di essere trasmesso all’estero. La seconda è che anche la versione di Pechino è basata non solo sul modello occidentale, ma anche su alcuni dei prodotti pubblicizzati nell’originale. 

Quali prodotti cinesi potrei inserire per venderlo all’estero? Nessuno. In Cina  forse posso usare la linea sportiva Li Ning. Ma Li Ning è una perfetta sintesi di Adidas e Nike, riconvertita al gusto cinese. Al momento, la sua appetibilità fuori dai confini è zero. E Li Ning ci svela un’altra cosa: la Cina è passata dalla semplice copia dei modelli altrui a un adattamento Made in China, realizzato per i cinesi. Un adattamento molto curato, ma non esportabile. Ed è esattamente quello che succede coi prodotti della pop culture: libri, musica, film”.

Ma il Libretto Rosso di Mao ha influenzato intere generazioni. Una volta i cinesi esportavano la loro cultura. “Ma no,– dice Marcela – è un esempio sbagliato, è un enorme equivoco culturale. Gli intellettuali di sinistra europei che leggevano il Libretto Rosso non capivano i riferimenti alla cultura cinese. Lo apprezzavano solamente perché era esotico”.

Per la pubblicitaria che manipola i consumi dei cinesi,  insomma, il Dragone non è ancora in grado di produrre un modello alternativo a quello occidentale.

“La motivazione dietro la creatività non è l’altruismo, non lo fai per la società: lo fai per distinguerti dalla masse, e questo è in conflitto con i valori confuciani. L’educazione cinese non incoraggia i bambini né a fare domande, né a sfidare lo status quo, che è una delle molle della creatività. Finché non si supera questo tipo di educazione, il modello su cui si basa la pop culture sarà ancora quello che conosciamo, basato su valori come la libertà e il completo controllo sulla tua vita. Non ha importanza se poi questo modello non corrisponde alla realtà: sta veicolando un preciso stile di vita, dietro il quale c’è un sistema politico e un sistema economico. Quello occidentale”.

Se uno sceneggiatore cinese scrivesse soggetti come Matrix o Fight Club – conclude Marcela-  le sue opere non vedrebbero mai la luce”. 
 
Zhang Caying  è uno sceneggiatore che firma alcuni telefilm in onda sulla tv di stato cinese. Accetta di parlare a patto di non rivelare il suo vero nome.

In Cina l’eroe hollywoodiano non può essere considerato un vero ‘eroe’– racconta Zhang- o almeno, non potrebbe mai ricevere l’approvazione della propaganda ufficiale. Le serie tv cinesi sono le più controllate al mondo, e i limiti imposti a noi sceneggiatori sono addirittura aumentati nell’ultimo anno. Il governo ci chiede di rappresentare un protagonista conforme e obbediente. Lo stereotipo del ribelle esiste, ma spesso dobbiamo riservargli una fine tragica oppure renderlo incapace di alzare la voce, e quindi nelle trame che raccontiamo diventa un perdente”.

Secondo Zhang, per entusiasmare un pubblico straniero i prodotti culturali cinesi dovrebbero essere “chiari, oggettivi e imparziali”, ma “tra la verità e la prassi politica c’è una grande distanza”.

Che possibilità ha un valore come l’armonia, propagandato dal governo di Pechino, di venire trasmesso attraverso un prodotto di intrattenimento e suscitare consenso in Occidente?

“Il tema dell’armonia è necessario al governo – dice Zhang – e per certi aspetti è una sorta di narcotico. Prendiamo ad esempio un certo genere di telefilm che in Cina ottengono enormi quote di share: si tratta di drammi in cui il protagonista, dalla culla alla tomba, risponde solamente al male con il bene. Questi prodotti suscitano le lacrime del pubblico, producono profitti economici, e allo stesso tempo fanno accettare la realtà al popolo. Una società armonica e protetta. Per quello che capisco dell’Occidente, una serie tv di questo genere non avrebbe successo”.

Ma a detta di Zhang il pubblico cinese non cerca solo soap opera strappa lacrime, e spesso opere più complesse e creative raggiungono successi inaspettati. E anche sgraditi al governo. È il caso di Lascia fischiare i proiettili, film scritto e diretto da Jiang Wen che nel 2010 ha ottenuto oltre 700 milioni di yuan d’incassi, polverizzando il record delle proiezioni di mezzanotte.

Lascia fischiare i proiettili è una specie di spaghetti-western ambientato nella Cina degli anni ’20, tra imbroglioni di professione che si fingono governatori, capimafia, sparatorie e sconvolgimenti politici. 

Molti stranieri vorrebbero ancora vedere la Cina di Bruce Lee o di Zhang Yimou. Ma quello è un film che tratta temi molto cinesi, e nello stesso tempo può ottenere un grande successo all’estero – dice Zhang – anche perché ha un messaggio molto originale. Dubito che le autorità  abbiano colto i significati nascosti, altrimenti non lo avrebbero approvato. E infatti, il progetto di un sequel è stato bloccato, nonostante gli incassi”.

Ma mentre Gossip Girl cerca di venderci brand e stili di vita e i cinesi la adattano – attenti a non contraddire “l’armonia”- ,  da qualche parte si adattono strategie sempre più sofisticate per guadagnare il nostro consenso. E non importa se l’obiettivo è il portafoglio del pubblico o le sue idee politiche.

Una di queste tattiche di “guerriglia mediatica” è quella dei memi. Chi non si è mai trovato a fischiettare un motivetto ossessivo, che magari detesta, o a pensare come suoi concetti, frasi e immagini che in realtà provengono da qualche altra fonte?

Tutte queste cose, secondo il biologo evoluzionista Richard Dawkins – che ha coniato il termine- sono “memi”: virus della mente capaci di replicarsi e diffondersi da un cervello all’altro per imitazione, con la stessa facilità con cui ci si trasmette un raffreddore. Un meme non deve essere necessariamente “utile”, basta che sia efficace, e che riesca a riprodursi nel maggior numero di copie possibili, contagiando tutti i cervelli che riesce a raggiungere.

I memi (dalla radice greca mimeme, imitazione) vengono studiati, analizzati, e smascherati. Ma anche creati in laboratorio: che cosa sono film anni ’80 come Rambo o Alba Rossa, se non un enorme spot creato a tavolino per convincerci che l’America di Ronald Reagan era il migliore dei paesi possibili? E non potrebbe la Cina lanciare una controffensiva dello stesso tenore?

Un sistema autoritario può effettivamente provare a creare delle opere basate su memi alternativi a quelli più diffusi oggi”  spiega la psicologa Susan Blackmore, autrice del libro La macchina dei memi, tradotto in Italia da Instar Libri.

Ma per farlo, dovrebbe rendere seducente qualcosa che i cittadini delle democrazie vogliono ancora di più della libertà d’espressione. Denaro? Autocelebrazione? Sicurezza dalla paura in un mondo attraversato dalla crisi? Una ‘macchina dei memi’ autoritaria potrebbe usare tutte queste idee virali, ma dipende dal pubblico al quale si rivolge. A mio avviso, per un regime autoritario è più difficile veicolare un meme efficace. Un meme davvero potente ha bisogno di pochi controlli sull’informazione”.

Il concetto di armonia, però, suona già più utilizzabile. “L’eroe di un prodotto pop di questo genere potrebbe essere una collettività, una società di successo, invece di un unico protagonista. Noi occidentali siamo ossessionati da noi stessi, ma questo meme potrebbe rivelarsi vincente in questo periodo”.

Marcela cerca di indirizzare i consumi dei cinesi, ma non crede che al momento Pechino riuscirà conquistare l’immaginario degli stranieri. Tuttavia, dice la pubblicitaria, è solo questione di tempo. Almeno su un punto.

Anche se può sembrare paradossale si tratta della difesa dell’ambiente. In Occidente non abbiamo idea dell’importanza che riveste questo tema per la Cina, degli investimenti e degli sforzi che il governo sta spendendo in questo settore, del desiderio del popolo di vivere in un ambiente pulito. Nonostante le difficoltà e le divisioni sul tema, la leadership cinese è realmente intenzionata a creare un nuovo modello di rispetto dell’ambiente e a veicolarlo nel mondo. E quando questo modello sarà definito, lo diffonderà anche  attraverso prodotti d’intrattenimento di massa”.

Con una collettività che salva il mondo dall’inquinamento, senza bisogno di un eroe individualista. “In armonia”. Forse, quando ci troveremo di fronte a un’opera di questo genere, vorrà dire che la Cina ha conquistato la nostra immaginazione.