The Leftover of the Day – La febbra e parassitismi

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
9 febbraio 2010, 10:51
La febbra

Ieri sera, quasi sulla soglia dell’ufficio. Mi infilo il cappotto e mi avvio verso la porta per uscire. Lui mi ferma: “A quick quiz before going home”. Ha ragione: mancava il quiz della giornata, c’era una nota stonata, me ne andavo con un senso di vuoto.
Si avvicina alla lavagna che è posta alle spalle della mia scrivania e, impugnando il pennarello, mi fa: “è un test per verificare la tua conoscenza della lingua italiana”. Automaticamente, quando mi rivolge queste sfide, per quanto sciocche siano, mi viene il mal di pancia: un po’ per fastidio, per istintiva ripulsa verso la logica del “constant challenge”, un po’ per imbarazzo. Gli chiedo: “What happens if I don’t answer correctly? You’re going to fire me?”, lui ridacchia e so che in fondo – in maniera indiretta e paradossale, visto che l’italiana sono io e dovrei essere io a scrivere sulla lavagna per lui – è solo un modo per farmi conoscere i suoi progressi. 
Scrive: 
“Qualcosa di bell_”
e sotto:
“L’attacco è stat_ una sorpresa”.
Poi dice: “Fill the blanks”. 
Mi pare incredibile che sia una cosa così scema. Gli rispondo in modo esatto e lui mi inizia a spiegare che quando arrivi a questo livello come straniero le cose si fanno molto interessanti. E vabbè, posso tirare un sospiro di sollievo e uscire con appuntata al petto la medaglia di conoscitrice della mia lingua. Invece non è finita. Forse non soddisfatto del quiz scelto, vuole mostrarmi un’altra frase che lo ha fatto lungamente riflettere. E scrive:
“Ti ha trovato una febbra”. Giuro. Scrive così. Mi metto a ridere e gli dico: “No, no, febbra non esiste e non si dice una febbre”. In ogni caso, non era quello che gli interessava, gli premeva disquisire sull’uso del ti nella frase. Iniziamo a fare così confronti con l’inglese. Sotto sotto mi viene da ridere. Come si dirà in inglesela febbra? Ma soprattutto si sarà reso conto di aver citato 
Maccio Capatonda…?

9 febbraio 2010, 17:40
Parassitismi

Ogni tanto è consolante vederlo alle prese con problemi analoghi ai miei (cioè analoghi a quelli che lui mi crea). Oggi gli è arrivata una mail da un collega di Tokyo che vuole venire in Italia per una vacanza. Come è normale, gli chiede qualche dritta. Come non è normale, almeno per un italiano, chiede informazioni in modo pedante e asfissiante. Gli fa domande assurde, tipo: devo fermarmi a Perugia? Come arrivo da Saint Moritz a Milano? Mi consigli di dormire a Firenze? Insomma, quelle domande che uno dice: ma che lo fai a fare il viaggio se non hai nemmeno il gusto di farti un itinerario da solo? Allora lui si alza e si mette a controllare sulla cartina la distanza tra Saint Moritz e il confine italiano, e mi chiede di vedere se ci sono treni che collegano la località di montagna svizzera con l’aeroporto, non ci sono e così gli devo mostrare tutto un itinerario fatto di autobus e diversi treni regionali… quell’altro è talmente ossessivo che gli domanda persino se deve fermarsi in un ignoto paese di nome Tirano, che poi scopriamo essere una cittadina italiana al confine. Alla fine gli chiedo: “Ma perché vuole che sia tu a organizzare il suo viaggio? Tu non sei mica la sua guida turistica!”. Lui mi risponde che fa parte della logica dell’azienda e che, siccome lui è corrispondente in Italia, si presume conosca tutto dell’Italia. E quando loro dicono tutto significa TUTTO.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)