Mar cinese meridionale. Accordi bilaterali

In by Simone

Cina e Vietnam hanno raggiunto un’intesa sulle controversie nel mar Cinese Meridionale, acque importanti non solo per via dei fondali ricchi di materie prime, ma anche perché qui passa un terzo del traffico marittimo globale. L’accordo bilaterale taglia fuori una mezza dozzina di paesi interessati a quest’area e soddisfa Pechino che non ha mai accettato discussioni in seno all’Asean.
Pare che si siano accordati. Cina e Vietnam hanno raggiunto a Pechino un’intesa sulle controversie nel mar Cinese Meridionale, un’area di mondo che a orecchi occidentali suonerà poco meno che irrilevante ma che da queste parti muove interessi strategici, ragioni storiche e suscettibilità varie. E che, soprattutto, attira le attenzioni di mezza dozzina di Paesi: oltre a Cina e Vietnam, anche Filippine, Brunei, Malaysia e Taiwan. Di recente, anche Stati Uniti, Giappone e India si sono rivelati spettatori interessati. Queste acque sono infatti importanti non solo per via dei fondali che si ritengono ricchi di materie prime, ma anche perché sono la seconda rotta al mondo per numero di navi che vi transitano: qui passa un terzo del traffico marittimo globale.

Sono gli stessi giornali cinesi a ricordare che le relazioni sino-vietnamite avevano raggiunto il punto più basso a giugno, quando Hanoi aveva accusato la marina del Dragone di ostacolare le attività di una nave vietnamita che stava compiendo esplorazioni alla ricerca di petrolio e gas al largo delle “isole Xisha” (le Paracelse). Di rimando, Pechino aveva denunciato la cacciata da quelle acque di alcuni pescherecci cinesi da parte della marina di Hanoi. La tensione – ricorda la stampa – era scesa in occasione delle operazioni congiunte di pattugliamento che le marine dei due Paesi avevano svolto nel “golfo di Beibu” (il golfo del Tonchino) tra il 19 e il 20 giugno, a cui seguì la visita di una delegazione vietnamita in Cina.

L’attuale intesa in realtà è un semplice impegno reciproco a consultarsi e a coinvolgere altre parti interessate in caso di situazioni a rischio ed è stata raggiunta nel corso della visita a Pechino di Nguyen Phu Trong, segretario del Partito comunista vietnamita, che ha incontrato il presidente cinese Hu Jintao e il delfino Xi Jinpin. I sei punti dell’accordo siglato l’11 ottobre prevedono consultazioni bilaterali due volte l’anno per dirimere ogni contrasto sulle acque territoriali, mentre “le due parti convengono sulla necessità di istituire una linea diretta per comunicare velocemente e risolvere al meglio ogni questione marittima”. Proprio questo accento sul rapporto bilaterale, uno a uno, è il marchio cinese sull’accordo. Pechino, così come ha da sempre affermato la propria sovranità sul mar Cinese Meridionale, non ha mai accettato che le tensioni nell’area venissero discusse nell’Asean (Association of Southeast Asian Nations) o in ambito ancora più allargato.

Nei rapporti bilaterali, la Cina gioca come di consueto la carta delle relazioni economiche. Il filogovernativo Global Times – in reltà uno spin-off del Quotidiano del Popolo – enfatizza il fatto che il segretario del partito vietnamita, Trong, “nel considerare come priorità assoluta lo sviluppo economico, ha capito che il decollo del Vietnam non necessita solo di uno stabile scenario regionale, ma anche di solidi rapporti commerciali con la Cina”.
E citando Ji Qiufeng, docente di relazioni internazionali all’università di Nanchino, il giornale aggiunge che “stabili e pacifici rapporti bilaterali saranno il pilastro principale della futura cooperazione commerciale ed economica”. Infine, si ricorda che “dal 2004 la Cina è diventata uno dei principali partner del Vietnam e il commercio bilaterale è cresciuto regolarmente, balzando dai 16 miliardi di dollari del 2007 ai 27 miliardi del 2010, secondo Vietnam News”.

Per Pechino si tratta soprattutto di tenere alla larga gli Stati Uniti che nel mar Cinese Meridionale agiscono sia direttamente sia per interposti Giappone e Filippine. Cogliendo l’occasione delle tensioni attorno alle isole Spratly e Paracelse, il segretario di Stato Hillary Clinton rilasciò nel luglio 2010 una dichiarazione in cui definiva “interesse nazionale” degli Usa una soluzione delle dispute nell’area, si esprimeva per la “libertà di navigazione” e per “un processo diplomatico collaborativo”, cioè per l’internazionalizzazione della controversia. Poco prima, la marina statunitense e quella filippina avevano condotto manovre militari congiunte proprio nelle acque del mar Cinese Meridionale. Da Pechino risposero stizziti che Washington doveva restare fuori dalla questione (e dalle acque contese), mentre anche l’esercito popolare dava il via a esercitazioni navali. Un esperto di questioni strategiche di quell’area citato dal South China Morning Post, Zhang Mingliang, sostiene che “Pechino sa benissimo che alcuni vicini del Sudest Asiatico cercano di coinvolgere gli Usa e il Giappone per rafforzare la propria posizione al tavolo dei negoziati”, e aggiunge che il Giappone, da parte sua, sta cercando di sfruttare ogni occasione per contenere la Cina.

Una presenza Usa nel mar Cinese Meridionale è vista invece da Pechino come un ulteriore tassello in quell’accerchiamento alla Cina che di fatto sembra essere in corso, come dimostrano l’apertura di Singapore alle navi da guerra statunitensi, il costante avvicinamento tra Usa e India – che di recente ha cominciato proprie esplorazioni scientifico-commerciali in quelle acque – oltre alla sempre maggiore penetrazione di Washington in Mongolia, sotto forma di partnership economiche, partecipazione di truppe mongole ai Peace Corps che affiancano l’esercito americano in Afghanistan e la recente visita di Joe Biden a Ulan Bator (la prima di un vicepresidente Usa dal 1944). Non è assolutamente casuale che i giornali cinesi non citino mai né Washington né Tokyo tra le potenziali parti interessate nelle dispute che riguardano il mar Cinese Meridionale. Per loro, quelle acque sono una questione tra la Cina e i singoli Stati che vi si affacciano.

* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.