Lo scandalo degli aborti forzati

In by Simone

In Cina una recente notizia ha riportato in auge il tema degli aborti forzati. Feng Jianmei, ventiduenne della provincia dello Shaanxi, è infatti stata costretta ad abortire al settimo mese di gravidanza, scatenando una protesta dell’opinione pubblica cinese ed un’indagine governativa. Feng Jianmei e il marito avevano già un figlio, e averne un secondo sarebbe stato contrario alle regole stabilite dalla politica del figlio unico. Così, dato che la coppia non aveva sufficienti risorse economiche per pagare la multa prevista, le autorità locali hanno optato per l’aborto, scatenando proteste e un’indagine governativa.

La politica del figlio unico è stata una delle politiche più controverse adottate dal Partito comunista cinese. Alla fine degli Anni ’70 il governo si rese conto che l’enorme popolazione cinese rappresentava un ostacolo per lo sviluppo nazionale. Nel 1979, così, decise di porre un freno burocratico alla crescita demografica. Venne messo in piedi un sistema di multe, procedure e sanzioni, tenendo conto delle differenze tra città e campagne, tra i cinesi Han e le varie minoranze etniche.

La politica ha raccolto un grande successo nel raggiungere i suoi obbiettivi, ma ha avuto anche pesanti effetti collaterali. Fra questi, oltre a creare un divario fra maschi e femmine e creare un eccessivo numero di anziani, va annoverato anche il problema degli aborti forzati, subiti dalle donne che non possono permettersi di pagare le multe inflitte per i figli “extra”.

Il caso di Feng appartiene a questa categoria. Secondo il South China Morning Post, “le autorità per la pianificazione famigliare di Zengjia hanno fermato la ventiduenne Feng Jianmei per tre giorni e il 2 giugno le hanno fatto abortire il bambino perché violava la politica nazionale del figlio unico”.

Il marito della donna, Deng Jiyuan, ha affermato che “i funzionari della cittadina hanno coperto la testa di Feng con un panno nero e l’hanno condotta in auto all’ospedale di Ankang. A quel punto l’hanno fatta abortire con un’iniezione che ha ucciso il feto”.

L’opinione pubblica cinese ha reagito, specie quando una foto della donna sdraiata con accanto il feto morto è diventata pubblica. A quel punto il malcontento è dilagato. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, “i commenti online riguardanti l’aborto forzato di Feng hanno scatenato un fiume di critiche dirette al governo locale di Zhenping e hanno innescato un dibattito sulla politica nazionale di pianificazione famigliare”. Qualcuno avrebbe addirittura affermato che questo massacro è equiparabile “all’assassinio di donne e bambini in Siria”. “Tutto questo è intollerabile ed è una violazione dei diritti umani”, ha commentato Zhang kai, un noto avvocato di Pechino.

Il Global Times ha riportato le parole di un non meglio identificato funzionario Qin, della Commissione nazionale per la pianificazione famigliare e della popolazione, secondo il quale la Commissione “sta cercando capire tutta la storia. Se è vera, le autorità locali per la pianificazione famigliare saranno sicuramente punite in modo severo”. Queste ultime si sono difese sostenendo che Feng avrebbe accettato l’operazione dopo essere stata “persuasa”.

Non la pensa così, però, il marito: “Diverse persone l’hanno spinta in macchina e l’hanno portata all’ospedale. Alla mia famiglia è stato proibito di vederla. Dato che lei non voleva acconsentire alla procedura, l’hanno costretta ad apporre l’impronta digitale della sua mano sinistra sul documento. L’aborto è avvenuto contro la sua volontà”.    

[Scritto per Lettera43]

* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.