The Leftover of the Day – Here we go again

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
14 giugno 2010, 17:43
Here we go again

La conversazione si è fatta scarsa in questo ufficio. Il nuovo arrivato ha una vocetta esile e sempre nervosa e non è particolarmente propenso alla chiacchiera (da un lato meno male). In generale non vedo che conferme alla prima impressione: stavolta mi trovo davanti un giapponese abbastanza tipico. Con tutti i corollari che ne seguono.

Nessuna idea, nemmeno vaga, di quello che gli attraversa il cervello, massima formalità e tendenziale freddezza. È un po’ inquietante che quando uno gli parla lui scatta in piedi come fosse l’appello del professore a scuola.

Ha dei comportamenti incomprensibili. Appena arrivato, ho messo subito in chiaro che non deve sentirsi obbligato a seguire pedissequamente le orme del suo predecessore. Per ogni cosa mi domandava: “Come faceva (…)?” e si limitava a ripetere il modulo. Gli ho detto che, per esempio – e l’esempio non era casuale – non deve sentirsi obbligato a pranzare tutti i giorni con noi. Vorrei liberarmi di questa ingombrante abitudine. Oggi per la prima volta lo ha fatto.

È uscito come una furia dalla stanza per sgattaiolare fuori dall’ufficio come un ladro, guardandosi intorno con circospezione come se qualcuno lo spiasse o lo volesse trattenere. Me l’ha detto la mia amica-collega che ha cercato di alzare un braccio in segno di saluto ma si è trovata davanti l’ispettore Clouseau che cercava furtivamente di chiudere la porta. Misteri.

Non mancano poi i problemi linguistici: io capisco a fatica lui, lui a fatica me. Tanto che non fa altro che ripetere le stesse domande e io continuamente rispondo con una lieve punta acida: “Credevo di avertelo già detto”.
Non sembra dotato di grande flessibilità. Ma questo non è sorprendente. Non dovrei nemmeno stupirmi della stravaganza delle sue richieste. Tuttavia non resisto.

Deve scrivere un articolo sulle intercettazioni e io sto letteralmente sudando per spiegargli di cosa si tratta. Anche perché ogni passaggio implica una parentesi da aprire: non ha idea di come funziona il parlamento italiano né tanto meno la magistratura, quindi si parte proprio dalle basi: la funzione requirente e quella giudicante e così via (ovviamente le mie traduzioni tendono a una spaventosa semplificazione, ma che posso farci?).

Dal canto suo, lui si informa con gli articoli in inglese. Oggi ne leggeva uno del WSJ in cui si parlava della lentezza del sistema giudiziario italiano, menzionando anche la prassi di rallentare i processi con “highly payed lawyers” (avvocati pagati profumatamente). Prendendo spunto da quello lui mi fa: “Posso quindi dire che la lentezza dei processi è dovuta agli avvocati e ai loro stipendi?”.
Volevo piangere, ma mi sono messa a ridere e ho cercato, per il poco che riesco, di articolare un po’ di più il discorso.

Invece sono invecchiata di colpo quando, con fare naïf e senza ironia, mi domanda: “C’è qualche caso in cui è coinvolto Berlusconi?”. Gli chiedo precisazioni: “Intendi qualcosa di recente, che sia collegabile alle intercettazioni?”. “No, in generale", è la sua risposta.
Ma perché non si apre Wikipedia e dà un’occhiata… ci vuole poco.
Io mi sono presa qualche giorno per dargli la lista completa.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)