I dipendenti pubblici di Osaka non devono essere tatuati. E’ l’ultima provocazione di Toru Hashimoto: faccia d’angelo, forse figlio di un boss della Yakuza, sindaco di Osaka e una politica a metà tra Beppe Grillo ed Adolf Hitler. Ma ai giapponesi piace, e molti lo vorrebbero premier nel 2013.
Il suo nome compare spesso nei media giapponesi e la sua carriera politica assomiglia sempre di più a un’inarrestabile ascesa dalla realtà locale a quella nazionale. Parliamo di Toru Hashimoto, attuale sindaco di Osaka, un personaggio contraddittorio che provoca dibattito e opposti sentimenti.
Un po’ come il Grillo nazionale, anche per lui si è creato un sostantivo che identifica in senso spregiativo il suo movimento e i suoi atteggiamenti: hashism, termine che nella lingua inglese rimanda al fascismo e alle sue tendenze dittatoriali. E, di nuovo, come per il comico genovese, si è ricorsi all’abusato parallelismo con Mussolini per descrivere il suo piglio autoritario, così con Hashimoto si è parlato di “Hitler giapponese”.
Quarantadue anni, ex avvocato, un tempo personaggio televisivo, figlio – secondo quanto riportato da alcuni media tra cui la Bbc – di un gangster: ha una faccia telegenica e una propensione a mettersi al centro della scena. Il personaggio è del genere “bene o male, purché se ne parli”. E lo dimostrano alcune sue stravaganti iniziative.
A febbraio suscitò scalpore la sua affermazione: "Tutto ciò di cui il Giappone ha bisogno è un dittatore", prontamente ammorbidita dalla constatazione che non è né auspicabile né possibile per il paese il prodursi di una dittatura, anche in virtù del sistema di check and balances approntato nel dopoguerra.
Mesi fa, invece, spinse per l’approvazione di un’ordinanza comunale con cui i professori erano obbligati ad alzarsi in piedi per cantare l’inno nazionale durante le cerimonie scolastiche.
Sono provocazioni come queste che gli portano consensi in un’opinione pubblica sempre più avvilita dagli scialbi e prevedibili politici che la governano. Tanto è vero che il livello di gradimento di Hashimoto risulta nettamente superiore a quello del primo ministro Yoshihiko Noda.
La Afp riporta che, secondo un recente sondaggio, il 55 per cento degli intervistati si augura che il movimento di Hashimoto (il “Partito per il rinnovamento di Osaka”) guadagni molti seggi alle prossime elezioni (che si terranno nel 2013); mentre un’altra indagine vede Hashimoto in cima alla lista dei candidati alla guida del paese, ben più in alto dell’attuale premier.
Più di recente l’agguerrito sindaco ha preso di mira un’altra minoranza all’interno dei dipendenti pubblici: quella dei tatuati. C’è chi vocifera che l’accanimento contro i tatuaggi sia anche un retaggio della storia familiare, una sorta di rituale di contrappasso che gli valga da lasciapassare per il futuro.
Hashimoto avrebbe deciso di affrontare la questione dopo un episodio avvenuto in una delle strutture dell’infanzia gestite dal comune: un impiegato avrebbe spaventato un bambino mostrandogli il suo tatuaggio.
Bisogna ricordare che in Giappone il tatuaggio rappresenta un vero e proprio stigma sociale; l’idea che possa essere una moda fatica ancora a prendere piede. In epoca Meiji i tatuaggi furono addirittura vietati: le élite di quel periodo storico che si colloca tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Novecento ritenevano che quei corpi così segnati non fossero una buona pubblicità per un paese che inseguiva la modernizzazione.
L’associazione tatuaggio = yakuza (l’organizzazione criminale giapponese paragonabile alla mafia) è rimasta dunque dominante e persiste anche oggi – benché ufficialmente non ci sia nulla di illegale nel tatuaggio – tanto che molti bagni pubblici o onsen (le terme) non consentono l’accesso ai tatuati.
Concretamente l’iniziativa di Hashimoto ha comportato l’invio di un questionario ai più di 30.000 dipendenti pubblici del comune per sapere se avevano tatuaggi in parti scoperte e coperte del corpo. In prima battuta, circa 500 lavoratori si sono rifiutati di rispondere all’indagine considerandola un’illegittima invasione della sfera della privacy: alla fine però sono stati solo 15 gli impiegati a negare la loro partecipazione.
Ne è emerso che circa un centinaio di dipendenti hanno dei tatuaggi. Anche se le dichiarazioni di Hashimoto sono improntate all’irremovibilità ("Se vogliono tenersi i tatuaggi, devono lasciare il pubblico impiego e rivolgersi al settore privato"), non è chiaro se il consiglio comunale stilerà un codice etico per i lavoratori del pubblico menzionando anche il problema dei tatuaggi.
Un alto funzionario del comune, intervistato dal Japan Times, ha sostenuto che una soluzione agevole sarebbe quella di chiedere ai lavoratori di coprire i tatuaggi visibili: solo qualora si rifiutassero, si potrebbe chiedere loro di rimuoverli del tutto e comunque non potrebbe costituire un obbligo.
Dal canto suo, Hashimoto ha più volte sottolineato i sacrifici cui sono tenuti i rappresentanti delle istituzioni a qualunque livello. All’agenzia Ap ha dichiarato: “Prima che diventassi governatore, mi tingevo di castano i capelli. Non voglio essere moralista… ma, quando uno diventa governatore o sindaco, deve tornare ad averli neri. Perché tu sei un dipendente dello Stato”.
Come dire, a chi rappresenta un servizio pubblico non è concesso alcun vezzo. Ecco, con prese di posizione altrettanto inflessibili, c’è poco da sorprendersi se poi nascono termini come hashism.
[Foto credit: styles2day.com]
* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello "Yomiuri Shimbun", il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).