Letture Asiatiche – Voci da Taiwan

In Cultura, Letture Asiatiche by Lorenzo Lamperti

Un volume a cura di Rosa Lombardi per Orientalia Editrice che racconta le tante sfaccettature dell’identità taiwanese attraverso la produzione culturale. Dalla corrente modernista a quella nativista, dalla letteratura dei villaggi di guarnigione al grande cinema realista

“Finalmente capii che il paese che ero tanto impaziente di visitare, il luogo che avevo sempre sognato, non esisteva, e non era mai potuto veramente esistere. E’ un luogo irraggiungibile, che non non è mai esistito se non nel mondo della scrittura”. La nostalgia del non vissuto è uno dei sentimenti coi quali chi si occupa in qualche modo di Taiwan conosce bene. Un sentimento che conoscono ancora meglio i taiwanesi. Sia dai benshengren, provenienti da famiglie native dell’isola da prima della fine della seconda guerra mondiale, sia dai waishengren, provenienti da famiglie giunte a Taiwan con l’arrivo del Guomindang nel 1945 e di tutto l’apparato statale della Repubblica di Cina di Chiang Kai-shek nel 1949. Lo stesso sentimento, vissuto in modo diverso. Talvolta diametralmente opposto.

La frase citata in apertura è di Zhu Tianwen, appartenente alla seconda categoria. Ed è contenuta nel suo Note di un uomo affranto (Huangren shouji), uno degli esempi migliori della cosiddetta letteratura dei villaggi di guarnigione. Vi traspare la delusione e la disillusione di una generazione vissuta o cresciuta col mito della Cina continentale, patria perduta e il cui sogno di riconquista alimentato dai nazionalisti sconfitti da Mao Zedong si sgretolava anno per anno. Sogni covati fino a un certo punto nei cosiddetti juancun, i villaggi dei familiari dei militari che sorgevano quasi sempre al fianco di campi militari.

Assembramento di case, tende e sistemazioni teoricamente provvisorie. Corpi inizialmente estranei all’ecosistema taiwanese, vissuto da cinesi continentali arrivati sconfitti. Come Taiwan doveva essere la casa temporanea del Guomindang, quei villaggi dovevano essere la loro casa temporanea. Anche dopo decenni, regno del provvisorio. Fino a che qualcuno non riesce a tornare o mettere piede per la prima volta sulle terre a nord dello Stretto. Venendone spesso deluso. Quel luogo sognato, anelato non esisteva più, forse non era mai esistito. Nostalgia del non vissuto.

La letteratura dei villaggi di guarnigione è uno dei tanti aspetti della produzione culturale originata da Taiwan approfondita da Voci da Taiwan di Orientalia editrice. Il volume è a cura di Rosa Lombardi, che insegna lingua e letteratura cinese all’Università Roma Tre. E raccoglie alcuni interventi sulla letteratura, il cinema, la storia e la società di Taiwan presentati negli incontri organizzati presso l’ateneo romano, nell’ambito di progetti di ricerca finanziati dai ministeri della Cultura e dell’Educazione di Taipei.

Il risultato è un affascinante caleidoscopio che restituisce la complessità e le tante sfaccettature della storia e della produzione culturale di Taiwan. E dunque, della sua multiforme identità, processo mai fermo ma in continuo movimento e di cui si scorgono le tracce nei libri e film citati dai vari autori degli interventi raccolti nel libro. A partire dalla prima domanda, che sembra banale ma non lo è: che cosa si intende per letteratura taiwanese? Così come sul fronte politico, anche su quello letterario si tratta di un concetto che ha subito variazioni significative nel corso degli anni.

Molti dei contenuti restituiscono i due binari sui quali si è mossa per lungo tempo la letteratura taiwanese degli ultimi 70 anni: modernismo da una parte e nativismo dall’altra. Più esistenzialista e “internazionale” il primo, più realista e radicato sulla realtà socioculturale locale il secondo. Una divisione non solo stilistica e tematica, ma anche identitaria e linguistica. Gli snodi fondamentali più ampi come la rimozione della legge marziale nel 1987, l’avvio della transizione democratica o ancora l’avvento al governo per la prima volta del Partito progressista democratico fungono da centri propulsori di nuove tendenze, come la voce ritrovata dagli scrittori delle minoranze etniche presenti a Taiwan e sulle isole minori amministrate dal governo di Taipei. Oppure alla ridefinizione di letteratura taiwanese e progressivo distacco dall’identità “cinese” tour court nonostante resti espressione della comunità sinofona.

Riassume Isabelle Rabut: “Potremmo dunque descrivere la società taiwanese a partire dagli anni ‘80 come polifonica. La produzione letteraria riflette le tradizioni di gruppi etnici diversi tra loro: i nativi taiwanesi, gli aborigeni e le nuove generazioni di cinesi cresciuti in villaggi di guarnigione. Questi ultimi, cresciuti con una visione idealizzata della Cina, riconsiderano con sguardo critico gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e i ricordi delle loro esperienze costituiscono un filone specifico della letteratura, che prende il nome di letteratura dei villaggi di guarnigione (juancun wenxue). Anche l’incidente del 28 Febbraio non è più un tabù e la sua memoria ha dato vita ad una branca omonima di letteratura. Altri gruppi minoritari hanno forgiato un proprio filone letterario: è il caso della produzione “queer” (ku’er wenxue), con Qiu Miaojin (1969-1995, morta suicida) come rappresentante del filone lesbo, e Ji Dawei (1972-) per il filone gay”.

Una chiara descrizione del multiculturalismo di Taiwan, in cui il cui spesso entrare nel futuro significa poter guardare con maggiore cognizione di causa al proprio passato, col quale ancora non sono stati fatti del tutto i conti. Dalla poesia modernista alle ultime correnti letterarie, Voci da Taiwan non manca di esplorare gli aspetti storici (con Guido Samarani) e identitari, per arrivare poi al cinema. Chien-hsin Tsai racconta i grandi film realisti dei grandi autori Hou Hsiao-hsien e Tsai Ming-liang. Partendo dal capolavoro di Hou, Città dolente del 1989, leone d’oro al festival di Venezia. Ancora una volta, una riflessione sul proprio passato e sui suoi dolori, per tentare di capire il proprio presente e immaginare magari un futuro. Ma senza illudersi, quella nostalgia del non vissuto non passa mai.

Di Lorenzo Lamperti