L’effetto Fukushima riguarda anche l’India

In by Simone

Il primo ministro indiano Manmohan Singh, dopo un vertice ad alto livello tenuto subito dopo il tragico incidente alla centrale nucleare di Fukushima, ha dichiarato che l'India non rinuncerà a portare avanti i suoi piani per la costruzione di nuove centrali nucleari.

Singh è stato inoltre rassicurato dagli esperti che hanno preso parte al summit riguardo alla sicurezza degli impianti già in funzione sul territorio indiano: il responsabile della sicurezza nazionale Shivshankar Menon ha affermato infatti che «le centrali nucleari indiane sono progettate in modo assai differente da quella di Fukushima», e che esplosioni dovute alla dispersione di idrogeno sono da considerarsi «altamente improbabili».  Alla riunione era presente anche il capo della commissione per l'energia atomica, Srikumar Banerjee.

Negli ultimi anni il governo indiano, sebbene abbia investito non pochi fondi nel settore delle energie rinnovabili – come testimoniano le pale eoliche costruite ad Alvaimozhi, in Tamil Nadu – ha puntato molto anche sul nucleare civile per soddisfare il crescente fabbisogno energetico della nazione. La comunità internazionale ha da sempre guardato con sospetto ai piani di costruzione di centrali nucleari sul suono indiano, per via delle ostilità in corso tra la superpotenza egemone ed il vicino Pakistan a causa delle tensioni per il Kashmir, ma a partire dal 2006, anno dell'incontro tra George W. Bush e Manmohan Singh a New Delhi, c'è stato una significativo cambio di rotta.

Nel corso dell'incontro tra i due leader, George Bush, ansioso di guadagnare l'India alla causa della lotta controAl-Qaeda, si disse disponibile a condividere con l'India i reattori nucleari, il combustibile e l'esperienza statunitense, il tutto in cambio della salvaguardia della sicurezza internazionale.

Fino ad allora il governo indiano, che aveva reso noto il numero delle centrali nucleari presenti sul suo territorio (14 costruite per scopi civili ed 8 per scopi militari), non si era mai dichiarato disponibile ad accettare alcuna ispezione dei suoi siti.

La posizione assunta dal presidente americano fu aspramente criticata dal ministro degli Esteri australiano Alexander Downer, il quale affermò che l'Australia non avrebbe mai venduto uranio all'India fino a quando quest'ultima non avesse accettato di sottoscrivere il trattato di non proliferazione nucleare, attualmente boicottato proprio da Pakistan, India ed Israele.

Ma lo storico summit tra Bush e Manmohan Singh ha dato comunque un contributo decisivo alla spinta verso gli investimenti da parte delle aziende produttrici di impianti nucleari occidentali sul suolo indiano.

Nel dicembre dello scorso anno l' azienda per l'energia nucleare francese Arvea SA ha firmato con il governo indiano un accordo multimiliardario, del valore di 9.3 miliardi di dollari, per la costruzione di due reattori pressurizzati della potenza di 1.650 megawatt ciascuno a Jaitapur, nello stato indiano del Maharashtra. 

L'accordo è stato siglato alla presenza di Manmohan Singh e Nicolas Sarkozy. Secondo la corrispondente di Al-Jazeera Prerna Suri, la realizzazione delle due centrali francesi avrà un impatto molto significativo sul fabbisogno energetico della regione.

Funzionari indiani hanno subito rassicurato gli interlocutori francesi, affermando che le misure di sicurezza della costruzione degli impianti saranno all'altezza degli standard internazionali. Tuttavia le preoccupazioni e le perplessità espresse dalle componenti politiche e sociali antinucleariste indiane non hanno mancato di suscitare reazioni. I partiti dell'opposizione avevano chiesto al governo indiano di imporre una clausola che vincolasse la responsabilità di eventuali incidenti dovuti al malfunzionamento dei reattori al paese di provenienza degli stessi, richiesta che però è stata ritenuta irricevibile dai negoziatori francesi.

Più incisiva è stata la campagna portata avanti da Greenpeace India, che ha lanciato una petizione online per chiedere all'esecutivo di mettere la vita dei cittadini indiani al primo posto, rinunciando agli accordi presi con l'azienda nucleare francese. Inoltre, secondo i report di esperti statunitensi della Nuclear Regulatory Commission, sembra che i reattori ideati dall'Areva SA presentino ancora "gravi difetti" di progettazione, tanto che la commissione americana pianifica di rilasciare l'eventuale certificazione verso la fine del 2011.

In questo clima incandescente, la crisi nucelare giapponese e "l'effetto Fukushima" stanno inasprendo le posizioni del governo, convinto a proseguire il cammino nuclearista, e della società civile indiana, inevitabilmente scossa dalle notizie preoccupanti provenienti dall'estremo oriente.

C'è da chiedersi se il summit convocato dal primo ministro e le rassicurazioni da esso scaturite basteranno a permettere all'esecutivo di portare avanti i propri progetti in materia di energia nucleare.