Una Cina confidente ma più debole del solito è l’immagine disegnata dal rapporto sull’operato di governo che il premier Wen Jiabao ha pronunciato questa mattina di fronte ai quasi 3000 parlamentari del paese. "Quest’anno sarà il più difficile per lo sviluppo economico della Cina dall’inizio del secolo; ci troviamo di fronte a sfide ardue nelle promozione di riforme, sviluppo e stabilità".
La causa principale ammessa dal capo del governo è senza dubbio il rallentamento dell’economia, con il seguito di effetti che si riflettono sulla fabbrica del mondo. "La continua diminuzione della crescita economica, per impatto della crisi finanziaria globale, è diventata un problema principale che influenza la situazione generale" ha detto Wen. Al contrario degli anni scorsi, dunque, quando era il surriscaldamento dell’economia a preoccupare i pianificatori centrali, questa volta la sfida è riuscire ad assicurare una crescita "minima" che garantisca la stabilità del paese. Per il 2009 l’obiettivo è un +8%, lontano dagli aumenti a due cifre dell’ultima decade, ma ben ragionato.
"In un paese in via di sviluppo con una popolazione di 1,3 mld di persone mantenere un certo tasso di crescita dell’economia è essenziale, per espandere l’occupazione in aree urbane e rurali, aumentare le entrate della popolazione e assicurare la stabilità sociale" secondo il rapporto.
Con 20 milioni di lavoratori rispediti nelle campagne in seguito alla chiusura di fabbriche sulla costa orientale, 7 milioni di nuovi laureati da immettere nel mercato di lavoro e la necessità complessiva di creare 9 milioni di impieghi, secondo uno studio dell’Accademia delle Scienze Sociali, la pressione sul governo centrale si fa ogni giorno più grande. Wen ha espresso l’intenzione di mantenere il tasso di disoccupazione urbano al di sotto della soglia del 4,6%, ma osservatori indipendenti ritengono che le cifre abbiano da lungo tempo superato i dati fissati. Il rischio è l’esplosione del malcontento sociale e la minaccia al sistema del partito unico, che ha tutto da temere dall’insoddisfazione delle masse. Wang Erping, psicologo all’Accademia delle Scienze Sociali, ha avvertito che per il 2008 il numero degli incidenti di massa registrati nel paese è aumentato, superando il record di 80 mila registrati nel 2007. E’ dal 1993, quando gli incidenti di massa (che coinvolgono più di 5 persone) ufficialmente registrati hanno superato la soglia dei 10 mila, che tali manifestazioni di malcontento non si sono fermate.
Quest’anno in concomitanza con un numero di ricorrenze, la situazione potrebbe sfuggire di mano alle autorità. Wen Jiabao stesso ha ammesso che "alcuni problemi riguardanti interessi vitali della popolazione non sono stati alleviati", in riferimento alla sicurezza sociale, alla distribuzione del reddito, all’assistenza sanitaria etc.
A ciò il governo pensa di rimediare con un massiccio piano di spesa che, annunciato lo scorso novembre, è stato confermato oggi dal premier, fra la delusione di chi si aspettava di più.
"Aumenteremo sensibilmente la spesa del governo con un piano di investimento di 4 mila mld di yuan (465 mld di euro) su due anni, e metteremo in atto una riforma strutturale di riduzione delle tasse in modo da stimolare la domanda interna". Il risultato è un debito pubblico che non ha precedenti nei 60 anni della Repubblica Popolare: 950 mld di yuan, pari al 3% del Pil. Sebbene sia ben al di là dello 0,4% del Pil dello scorso anno, il deficit pubblico cinese è ancora lontano dai livelli dei paesi occidentali, come il 12% degli Usa. Per i mesi a venire i pianificatori hanno individuato alcune aree di maggiore produzione in cui spingere i consumi, dall’automobilistico al turismo, dall’immobiliare alla grande distribuzione che dovrà entrare nelle campagne e zone più remote del paese, con misure talvolta al limite del creativo.
Al di là dell’economia, però, nessun tema politico maggiore ha tenuto banco all’apertura della sessione annuale del Parlamento.
Le luci della crisi hanno offuscato persino le dichiarazioni su Taiwan, con cui Pechino sembra aver ritrovato un idillio da età dell’oro. "Importanti progressi sono stati fatti nel lavoro con Taiwan lo scorso anno- ha ricordato Wen- siamo pronti a porre fine allo stato di ostilità e concludere un accordo di pace fra le due sponde dello stretto". È un’ammissione maggiore della disponibilità di Pechino a avvicinarsi all’isola ribelle e tendere una mano alle migliaia di investitori che sono tra i primi a trainare l’economia del continente. Ad essi lo scorso dicembre il Partito Comunista aveva offerto importanti misure di riduzione delle tasse e stimolo agli investimenti per far sì che la crisi non li costringesse a chiudere i battenti lasciando i lavoratori della madrepatria a prendersela con Pechino.
Infine il grande assente dal rapporto sull’operato del governo quest’anno è Mao Zedong. Neppure un riferimento al "pensiero di Mao" che fin qui è stata la base ideologica a giustificazione dell’operato del governo. Come a dire che davanti alle necessità pratiche non c’è ideologia che tenga, il pragmatismo è re.
[pubblicato da Apcom, il 5 marzo 2008]