La trasformazione illiberale dell’ASEAN e il ruolo dell’Ue

In Relazioni Internazionali, Sud Est Asiatico by Redazione

La situazione politica nell’area ASEAN sembra lentamente scivolare verso un’inesorabile compressione dei pilastri su cui si basa l’ordine liberale, compreso il riconoscimento di determinati diritti fondamentali. Il colpo di stato in Myanmar è, purtroppo, solo la situazione più evidente della deriva in atto. Il vuoto lasciato dalla latitanza degli Stati Uniti nell’area viene colmato da un incalzante attivismo economico cinese mentre l’Europa, seppur interessata all’area dal momento che il commercio coi paesi è fiorentissimo e le opportunità di investimenti diretti sono ghiotte, pare non trovare il passo giusto per aumentare il proprio peso nella regione. In particolare, Bruxelles non sembra riuscire a iniziare una coordinata azione economico-diplomatica che possa consentire un concreto avvicinamento.

Vietnam e Thailandia

Primo esempio il Vietnam, guidato da un partito unico e in cui violazione dei diritti umani e corruzione sono ormai endemiche. Il paese si trova al 104° posto su 180 del Corruption Perception Index. Non sembra migliorare, inoltre, anche la situazione dei diritti dei lavoratori (a causa della gestione dell’emergenza Covid-19) e della libertà d’espressione. In gennaio, è entrato in vigore un nuovo codice del lavoro che introduce alcune mitigazioni e migliorie per i lavoratori, come ad esempio una chiara definizione temporale dei contratti a tempo determinato (per un massimo di 36 mesi), dopo i quali si deve interrompere il rapporto con determinate garanzie o passare al rapporto indeterminato. Il nuovo codice però non è immediatamente applicabile dal momento che la situazione reale del paese (pure in emergenza sanitaria) vede un grande numero di lavoratori “sommersi” o irregolari e non contrattualizzati. Il valore dell’economia informale per il Vietnam si aggirava nel 2015 intorno al 21% e la percentuale dei lavoratori “sommersi” è probabilmente superiore al 30%.

L’Unione europea ha iniziato a muovere consistenti passi verso il Vietnam nel 2012 con la trattativa per la sottoscrizione di accordi commerciali, iniziata sotto l’egida della ricerca di sostanziose rassicurazione nel campo dei diritti umani nel paese. Questo processo si è tuttavia ben presto evoluto nell’accettazione più ampia dell’orientamento vietnamita pur di riuscire ad ottenere un accordo. Nel 2019 si è quindi proceduto alla stipula di quegli accordi che sono entrati in vigore nell’estate del 2020.

La Thailandia è il più lampante caso di regime autoritario nell’area. Il paese è formalmente una monarchia costituzionale dal 2014, anno in cui le forze armate hanno preso il potere con un colpo di stato e sospeso la costituzione, successivamente modificandola radicalmente nel 2017. Il governo di Bangkok è di fatto in mano ai militari che si sono essenzialmente preoccupati di accentrare tutte le funzioni dell’esecutivo e di creare un governo autoritario. La compagine militare al potere ha cercato allo stesso tempo di creare speciali legami economici con la Repubblica Popolare Cinese cosicché il commercio fra Pechino e Bangkok si è sviluppato in maniera sostanziosa e, al contempo, le relazioni bilaterali stanno vivendo un’impennata anche a seguito della crisi sanitaria ancora in atto. È inoltre vitale nominare la “Regional Comprehensive Economic Partnership”. Con questo accordo, infatti, Pechino ha acquisito con l’accordo una capacità diretta di influenzare gli equilibri (già interdipendenti) del commercio fra i paesi ASEAN e allo stesso tempo si è garantita una cornice di preminenza.

Da parte europea, Bruxelles aveva intavolato una trattativa con Bangkok nel 2013 che aveva però troncato l’anno successivo a seguito del colpo di stato. La mancanza (apparente) di interessi europei nel paese ha naturalmente lasciato spazio libero all’iniziativa cinese. Nonostante alcune dichiarazioni aleatorie del 2017 infatti l’Unione Europea non ha mosso passi sostanziali con l’intento di riprendere le trattative.

Luci e ombre sulla missione dell’Unione Europea all’ASEAN

Il “Servizio di Azione Esterna” dell’Unione europea ha stabilito una missione ufficiale in ASEAN nel 2015. Il suo attuale capo è Igor Driesmans, ex-membro dello staff di Federica Mogherini. L’organismo dell’Unione ha sinora ottenuto solo parziali risultati nella regione, come l’accordo di libero scambio con Hanoi. Tracce di un sensibile aumento dell’attività diplomatica dell’Unione nella regione sono rilevabili probabilmente dalla seconda metà del 2020, periodo nel quale si è cercato una sponda nel coinvolgimento del Giappone nell’area. La via del trattato regionale è forse impercorribile data la novità della RCEP ma una serie di accordi di libero scambio che possano garantire a tutti gli attori le condizioni riconosciute al Vietnam, coordinata con un’assertiva cooperazione culturale (scambi universitari e nell’ambito della ricerca) potrebbe essere un punto di partenza per provare ad avere un ruolo maggiore in un’area che cerca, a fatica, di mantenere una autonomia strategica nella contesa tra Stati Uniti e Cina.

Di Francesco Valacchi*

*Dottorato in Geopolitica presso l’Università di Pisa. Collabora con “Affarinternazionali”, “Geopolitica.info”, “Ispi-online”, “RISE” (del TWAI), “Pandora rivista”, “Dialoghi Mediterranei” e altre riviste