La trade war arriva a Hollywood

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Dimenticate le terre rare, i preziosi minerali utilizzati nell’industria hi-tech, di cui la Cina, primo produttore mondiale, starebbe pensando di limitare l’export. La controffensiva cinese in risposta alle ritorsioni commerciali di Washington è già cominciata e mira al cuore del soft power americano. Le conferme ufficiali devono ancora arrivare, ma segni piuttosto inequivocabili rivelano crescenti resistenze nei confronti delle produzioni statunitensi nel promettente mercato cinese. Pellicole “made in Hollywood”, ma anche serie tv e film minori, cominciano a risentire del clima glaciale sceso tra le due sponde del Pacifico.

Secondo fonti del settimanale d’intrattenimento Variety, il China Film Bureau avrebbe informato i distributori locali della sospensione dell’approvazione di film americani, fatta eccezione per le pellicole almeno parzialmente prodotte oltre Muraglia. Mentre le nuove misure sono state annunciate ufficiosamente durante il Festival di Cannes, c’è chi asserisce sia da dopo il Capodanno lunare (celebrato a febbraio) che le autorità cinesi hanno cominciato a bloccare l’importazione di produzioni statunitensi da parte delle aziende private, compresi i gestori delle piattaforme streaming. “In questo momento l’informazione è molto confusa e caotica”, spiega un distributore “non sappiamo davvero cosa succederà e quando”. Una sensazione condivisa da Jean Prewitt, presidente dell’Independent Film & Television Alliance che, confermando le indiscrezioni, definisce le nuove politiche cinesi “una battuta d’arresto estrema”.

Nonostante il semaforo verde concesso recentemente a Spider-Man: Far From Home, atteso nelle sale cinesi il 28 giugno, le voci di corridoio gettano tinte fosche sul futuro del settore. Per capire l’entità del potenziale danno si consideri che le produzioni americane – sebbene soggette a un sistema di quote annuali – rappresentano oltre un terzo delle entrate complessive nel mercato locale, che vale ormai quasi 9 miliardi di dollari e che – secondo PricewaterhouseCoopers – entro il 2020 raggiungerà i 12,28 miliardi di dollari, sorpassando gli 11,93 miliardi degli Stati Uniti.

Sospetti di possibili ritorsioni contro l’entertainment a stelle e strisce sono cominciati a circolare un paio di settimane fa, in seguito alla cancellazione in extremis dell’ultima puntata della serie Game of Thrones, di cui il colosso di internet Tencent detiene i diritti di trasmissione via streaming. La decisione, fortemente criticata da milioni di fan, è giunta contestualmente alla rimozione dai palinsesti di Over the Sea I Come to You, serie tv cinese girata negli States e incentrata sulla storia di un uomo che manda il figlio a studiare in America. Al contempo, la normale programmazione sul canale CCTV 6 è stata rimaneggiata per far posto a pellicole nazionaliste ambientate durante la Guerra di Corea. D’altronde l’emittente di stato China Central Television (CCTV) lo ha detto chiaramente: “il mezzo artistico cinematografico deve adeguarsi ai tempi”. Tempi di trade war.

Le nuove misure patriottiche – che ricordano molto la censura applicata contro le soap sudcoreane durante le tensioni con Seul per il dispiegamento del sistema antimissile americano THAAD – sembrano riguardare anche un’epurazione degli attori statunitensi dai casting. “Essenzialmente dal giorno alla notte molti americani sono stati rimossi dallo schermo: alcuni sono stati licenziati, altri si sono visti annullare i provini, e in sostanza tutti i nostri telefoni hanno smesso di squillare”, ha spiegato un insider a Variety.

A dimostrazione dei limiti del “decoupling”, proprio come per l’alta tecnologia, le ripercussioni si prospettano disastrose tanto per la Cina quanto per gli Stati Uniti. Stando al South China Morning post, il blockbuster cinese The Wandering Earth – da maggio su Netflix – si è avvalso della joint venture sino-americana Base FX per la realizzazione degli effetti visivi, mentre fino a non molto tempo fa si era parlato di un probabile incremento delle quote sui film stranieri per controbilanciare lo stallo riportato dall’industria domestica dopo il caso Fan Bingbing, la pagatissima star cinese multata per evasione fiscale lo scorso anno. Senza considerare le ricadute sul piano più strettamente culturale. Come spiega al quotidiano di Hong Kong l’attore William Knowles, in un momento in cui il dialogo tra le due superpotenze langue, il cinema fornisce un prezioso mezzo di comunicazione e conoscenza reciproca.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]