La storia della famiglia Zhong

In by Simone

Provincia del Jiangxi, contea di Yihuang: il 10 settembre 2010 la casa della famiglia Zhong è circondata da oltre un centinaio tra operai demolitori, forze dell’ordine e chengguan – una sorta di dipartimento di polizia incaricato di applicare le direttive dei lavori pubblici emanate dalle amministrazioni locali, spesso ricorrendo a mezzi poco ortodossi – in attesa che la famiglia abbandoni l’edificio.

Figlia, madre e zio sono sul tetto, si cospargono di benzina e si danno fuoco. Il più vecchio dei tre, 79 anni, morirà pochi giorni dopo in un ospedale di Nanchang. Le terribili immagini dei corpi avvolti dalle fiamme entrano immediatamente nel circuito della controinformazione online cinese, una trama di blog e microblog praticamente impossibile da setacciare in tempo reale per la censura nazionale. Solo grazie a questa protesta estrema il caso della famiglia Zhong è riuscito a guadagnarsi le pagine dei principali quotidiani nazionali, ma nel caso del Century Weekly, il più prestigioso settimanale economico cinese – responsabile di aver dato ampia eco alla notizia – è successo qualcosa di inaspettato.

Il 10 ottobre vengono licenziati due alti funzionari della contea di Yihuang, accusati di aver fatto ricorso a intimidazioni di vario genere per convincere la famiglia Zhong ad abbandonare la propria casa. Hui Chang, anch’egli funzionario della contea, due giorni dopo scrive una lunga lettera alla redazione del Century Weekly, toccando i nodi centrali dell’esproprio terriero e immobiliare.

La lettera finisce in versione integrale sul cartaceo e sul sito web del settimanale, dove alcune parti vengono tradotte anche in inglese. La posizione del funzionario è chiara: gli incidenti e le morti sono dei sacrifici tutto sommato accettabili, di fronte alla necessità vorace di una Cina ansiosa di espandersi, aggiornarsi, modernizzarsi. L’obiettivo è raggiungere gli standard dei paesi occidentali, un benessere diffuso e uno status di nuova potenza mondiale. E tutti gli ostacoli che si frappongono tra la realtà, già di per sé strabiliante, della Cina degli anni duemila e la Cina del futuro devono essere abbattuti. Siano case, montagne, fiumi, città, persone. Lo ha deciso il governo, e quindi è legge.

Si deve fare. E il licenziamento dei funzionari della contea non rappresenta una vittoria di chi vuole difendere i diritti dei più deboli, ma una vittoria di un certo giornalismo e della democrazia di internet, chiaramente da leggersi in accezione negativa. Hui, in un passaggio, arriva anche ad augurarsi che “i piani alti” sappiano punire platealmente qualche “disturbatore”, così da sedare il malcontento generale che serpeggia sempre di più nella società civile. Perché “non ci sarà nessuna nuova Cina, senza demolizioni forzate”.

Passano tre giorni e Si Weijiang, avvocato, manda una lettera al Century Weekly in risposta al punto di vista ufficiale espresso da Hui, che aveva subito trovato l’appoggio di una parte della rete e di tutti i media ufficiali. L’avvocato si pone alcune domande: l’urbanizzazione portata dalle demolizioni coatte è un bene per il popolo? Questa situazione, nella quale non esistono vincenti, ma solo perdenti da entrambe le parti, è causata dal popolo o dal governo? È giusto dare tutto questo potere ai governi locali?

Già, perché dietro alle demolizioni forzate si nascondono gli interessi dei piccoli mandarini del nuovo millennio, alla ricerca del successo immediato, della crescita fulminea, di una produzione e un ammodernamento regionale innaturale, nella speranza di essere notati ai piani alti del governo centrale ed entrare nel giro delle promozioni all’interno del partito. Mal che vada, i funzionari locali possono gestire appalti, prendere mazzette, fare favori per chiederne poi altri, in una cultura mafiosa che in Cina affonda le radici nella storia imperiale. Da una parte, quindi, interessi locali e il sogno di una grande Cina; dall’altra, i diritti degli ultimi, la partecipazione a un progetto di crescita umanamente sostenibile e nel rispetto della popolazione.

Dallo scambio di lettere è nata, oramai tre mesi fa, una ricca discussione giuridica, che ha portato alla promulgazione di regolamenti più ferrei per le amministrazioni locali, nel tentativo di arginare la decentralità del potere oramai in stadio avanzato. Ma a distanza di pochi mesi i morti e le ruspe sono tornati sulle pagine dei giornali e su internet. Urbanizzazione, diritti, partecipazione e modernità sostenibile sono nodi che la Cina, nella sua corsa al benessere, non può permettersi di non sciogliere.