La rivincita delle madri single

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Moglie e madre. Lo scomodo binomio definisce il ruolo sociale della donna in Cina fin dai tempi più remoti. Secondo l’ortodossia confuciana, la figura femminile trova la propria collocazione sociale attraverso i “tre principi d’obbedienza” (sottomissione al padre prima del matrimonio, quindi al marito e, in caso di vedovanza, al fratello) e l’adempimento ai doveri riproduttivi. Se, come recitano i testi antichi, “ci sono tre modi per trasgredire la pietà filiale. Il primo è non avere eredi”, altrettanto condannabile è il concepimento fuori del matrimonio. Un tabù che ha resistito alla liberazione sessuale sancita nel 1997 dalla decriminalizzazione dei rapporti extraconiugali. Da allora, l’emancipazione economica, che oggi vede la Cina vantare il 60% delle miliardarie self-made a livello mondiale, si è tradotta nella ricerca di una maggiore autonomia femminile anche nelle rivendicazioni genitoriali. Ma il quadro normativo e la sua applicazione faticano a tenere il passo con una società in rapido cambiamento.

“Alcune donne non vogliono sposarsi, ma desiderano avere figli. E’ un loro diritto”, spiegava lo scorso marzo Huang Xihua, delegata della provincia del Guangdong, a margine dell’Assemblea nazionale del popolo. Sono due anni che i diritti riproduttivi delle donne raggiungono il parlamento cinese. E per due anni si estinguono nell’appello inascoltato di esperti e quadri di partito. Colpa dell’eredità patriarcale confuciana, ma anche delle politiche demografiche introdotte in epoca maoista e denghiana.

Né la legge sulla pianificazione famigliare né quella sul matrimonio consentono o proibiscono espressamente la genitorialità delle donne single. Ciò che invece è scritto nero su bianco è che il sistema riconosce pari diritti per i bambini concepiti fuori dal matrimonio. Come stabilito nel 1988 dal Ministero della Pubblica Sicurezza e dalla Commissione per la Pianificazione Familiare, tutti i nati fuori dal sacro vincolo debbono poter ricevere lo hukou, il permesso di residenza introdotto nel 1958 da cui dipendono i servizi di base, dall’assistenza sanitaria all’istruzione. Una posizione ribadita tre anni fa quando, contestualmente all’abolizione della politica del figlio unico, l’accesso allo hukou è stato esteso anche ai genitori senza certificato di matrimonio. Nella realtà dei fatti, tuttavia, le direttive vengono applicate con ampia discrezionalità a livello locale […]

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