La Lunga Marcia tecnologica

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24) Cosa manca alla Cina del 2012 per continuare l’attuazione delle linee guida dell’ultimo piano quinquennale, e favorire la transizione da “fabbrica” a “laboratorio” del mondo? La Lunga marcia dal made in China al designed in China.
Massicci investimenti in innovazione: fatto.
Acquisizione di tecnologie: fatto.

Nel “carrello della spesa” di Pechino manca ancora l’esperienza in alcuni settori nevralgici, necessari per imprimere la svolta decisiva, e allora il Dragone corre a cercare talenti all’estero: la SAFEA (State Administration of Foreign Affairs) cinese ha annunciato giovedì una serie di programmi per attrarre esperti stranieri in quattro industrie chiave nell’arco dei prossimi cinque anni.

Agricoltura, manifatturiero, servizi e software: la SAFEA vuole attingere al talent pool formatosi all’estero in questi campi per accelerare il cambiamento, e offre un milione di yuan (120mila euro, o 157mila dollari) ai professionisti che si trasferiranno sulla Grande Muraglia.

I progetti sul manifatturiero la dicono lunga sul tipo di aggiornamento che vuole condurre Pechino: tra i settori incoraggiati, nei quali la Cina cerca 2mila innovatori dall’estero, ci sono le energie rinnovabili, le produzioni hi-tech e la ricerca sui nuovi materiali.

Sul fronte dei servizi, spazio a chi è capace di istruire gli operatori cinesi nel campo della finanza, delle assicurazioni, della sicurezza e dei trasporti integrati. Ancora più eloquente la scelta del software: il Dragone vuole creare cinque centri internazionali per lo sviluppo.

I posti sono abbastanza limitati –tra i 500 e i mille, distribuiti su dieci anni- ed è richiesta la massima competenza: il Dragone spera così di trovare una soluzione al passaggio dal “Made in China” al “Designed in China”, che negli ultimi tempi sembra essere diventato il chiodo fisso della leadership cinese.

La Cina non è in grado di ideare da sola? A scorrere le statistiche non si direbbe proprio: secondo una ricerca pubblicata da Thomson Reuters a dicembre nel 2011 la Cina è diventata il primo Paese al mondo per la registrazione di nuovi brevetti, superando Stati Uniti e Giappone. Nell’arco di cinque anni i brevetti depositati in Cina sono cresciuti ad una media annuale del 16.7%, dai 171 mila del 2006 ai quasi 314mila dello scorso anno.

E non si tratta solo di brevetti depositati in Cina, dove le pratiche sulla tutela della proprietà intellettuale sono particolarmente disinvolte. I dati forniti dal WIPO (World intellectual Property Office) mostrano che le società dell’Impero di Mezzo stanno scalando anche  la vetta delle classifiche internazionali: nel 2010 ZTE Corp –il numero due delle telecomunicazioni in Cina- ha tallonato da vicino i primi della classe, i giapponesi di Panasonic. Al terzo posto a livello globale troviamo la statunitense Qualcomm Inc., ma appena fuori dal podio la quarta in classifica parla di nuovo mandarino: è Huawei Technolgies, secondo produttore al mondo di dispositivi per le telecomunicazioni. 

Molti osservatori del mercato, però, sottolineano che sul fronte dei brevetti non conta la quantità ma la qualità, e che spesso le società cinesi non sono incubatrici di innovazione  capaci di conquistare un ruolo da leader mondiale.

Le società cinesi stanno cercando di essere sempre più innovative e di trasformarsi da semplici licenziatarie a produttori di brand globali capaci di sfornare prodotti di alta qualità per aumentare i margini di guadagno.

Il numero di brevetti registrati in Cina aumentano anche a causa delle numerose battaglie legali che le aziende del Dragone stanno combattendo in giro per il mondo soprattutto –ancora una volta- nel settore delle telecomunicazioni: recentemente sia Huawei che ZTE sono state coinvolte in dispute sulle tecnologie wireless di quarta generazione.

Nell’ultimo periodo le fabbriche cinesi che producono componentistica per Apple o Blackberry sono state scosse da scioperi e scandali, dalle catene di suicidi alla Foxconn fino allo spietato articolo pubblicato proprio giovedì dal New York Times, che racconta nel dettaglio i costi umani sulla manodopera cinese della produzione di un iPad.

E intanto l’Impero di Mezzo prepara la sua rivoluzione per l’innovazione, una “Lunga Marcia” tecnologica. Fino a quando finalmente su un prodotto globale si potrà leggere “Designed in China”.