Iona è una giovane traduttrice della Londra di oggi. Riceve un plico contenente lettere e stralci di diario scritti in cinese. E’ la storia di Jian, musicista punk di Pechino incarcerato e poi finito in un centro per immigrati in Svizzera, che si intreccia con quella di Mu, la sua ragazza, un’aspirante poetessa. Sullo sfondo la Cina del dopo Tian’anmen. China Files vi regala un brano di La Cina sono io in anteprima (per gentile concessione di Metropoli d’Asia).
Carissima Mu, sta sbucando il sole, vecchio cielo bastardo! Mi sento vuoto e inerme. Nell’anima non ho niente, se non l’immagine di te. Ti sto scrivendo da un luogo che non posso ancora rivelarti. Forse, quando sarò al sicuro, potrò farti sapere dove mi trovo…
Poche settimane prima, Iona aveva ricevuto un’email da una casa editrice con cui non aveva mai lavorato. Erano interessati a tradurre alcune lettere e diari cinesi – l’ammasso eterogeneo ora sulla sua scrivania. Non pagavano male; gran parte delle traduzioni che accettava erano noiosissime: documenti economici o legali. Iona non aveva chiesto niente riguardo al materiale: nessuna informazione, nessun contesto. Ricordava il periodo di stasi dopo la laurea, durante il quale sembrava vivere alla giornata, senza progetti, senza futuro e in testa cinquemila caratteri cinesi che si dibattevano per venir fuori. Con le dita lunghe e sottili prende una matita, pronta a iniziare il suo lavoro.
Le pagine però sembrano molto confuse. Alcune sono senza data, altre sono semi illeggibili per via degli aloni scuri dovuti alla fotocopiatrice. È straevidente che la persona incaricata delle fotocopie non parla cinese, e le pagine sono mischiate senza un ordine specifico. Mentre sfoglia il contenuto della cartelletta, incomincia a chiedersi dove l’editore si sia procurato il materiale. È come se alcune lettere e diari risalissero a molto tempo prima, altre invece a periodi più recenti. Abbracciano un arco di circa vent’anni – ci sono macchie scure di dita unte, sbavature, chiazze d’inchiostro e qua e là dei caratteri sfocati, come se qualcuno avesse fatto cadere qualcosa sulle pagine o ci avesse pianto sopra.
L’editor della Applegate Books le aveva mandato la cartelletta via posta, corredandola di un appunto sbrigativo riguardante il fatto che il materiale era legato a un famoso musicista cinese. «Ci serve un’idea di massima del contenuto», aveva scritto. «Pensiamo che possa esserci qualcosa di molto interessante, ma saperlo senza una traccia di traduzione è impossibile». Di recente, durante una delle sue rarissime apparizioni a una festa del mondo editoriale, dove si era trattenuta il tempo di due rapidi drink ed era stata per lo più ai margini della ressa – la sua gonna era troppo lunga, troppo impegnativa la sua conversazione – Iona aveva sentito quella stessa editor dichiarare: «Una volta pubblicavamo biografie di personaggi illustri, come il Dalai Lama, ma oggi non interessano più a nessuno. Attirano maggiormente le figure di secondo piano, soprattutto se collegate a qualcosa di grosso».
Sulla prima lettera c’è una specie di intestazione ufficiale. C’è scritto Pechino 1540 Centro di Detenzione Crimini Civili, e anche un indirizzo – una località che lei non riesce a individuare. La cerca su Google Maps. La bandierina atterra in un grigio paesaggio di stradoni nella scura periferia di Pechino. Prova a immaginare la desolazione di un luogo del genere – edifici grigi, strade grigie. Torna a guardare il groviglio di parole e inizia a leggere.
11 novembre 2011
Cara Mu, non ce la faccio più. Le mie giornate passano in una lenta agonia. La luce che filtra dalla finestra è debolissima, mi accompagnano solo i muri spogli e freddi della prigione. Come tengo la mente occupata per non impazzire? Nella cupa caverna di questa cella ricostruisco le pareti del notro appartamentino – la nostra casetta, la calda luce pomeridiana e i rampicanti, noi sul balcone con le Colline profumate in lontananza ad ascoltare i cd stranieri piratati che compravamo al mercato – per me questo pensiero è un balsamo.
So che non puoi venire a trovarmi, però mi piacerebbe che mi scrivessi. Il silenzio che mi infliggi da quando ti ho fatto leggere il mio manifesto è insopportabile. Come puoi dire che non credi in quello che ho scritto? Ti sembra troppo se dico che, se non credi nel mio manifesto, non credi neanche in me? A me non sembra troppo, ridi pure, di’ pure che sono un ingenuo, che sono troppo idealista. Per me arte, politica e amore sono legati. Hai visto come ho vissuto finora – non è niente di nuovo. Ormai sono passati quasi vent’anni da quando ho scritto la mia primissima canzone, Mu! Vent’anni è la metà di una vita. Metà delle nostre vite, e ti conosco da tutto questo tempo. E tu conoscevi me. Vivevi con me. Mi amavi e mi accettavi. E allora cosa c’è di diverso, adesso?
Quale manifesto? si chiede Iona. Posa la matita e rilegge quello che ha tradotto. La voce sulla pagina è rabbiosa. Lo è anche la grafia: la penna è profondamente calcata sul foglio; ci sono cancellature e ripetizioni. E chi è questa Mu? Iona guarda fuori dalla finestra. Il cielo si è schiarito ancora di più, come se stesse risucchiando tutta l’energia dalle persone indaffarate giù per strada.
Lo dirò ancora una volta, anche se forse non lo vuoi sentire. Ti conosco, e so che capisci. Non può esserci arte senza impegno politico. Ogni forma d’arte è un’espressione politica. Lo sai – Mu, dai, sai benissimo queste cose, perché continui a tenerti a distanza? Ne avevamo parlato. Sapevi che al concerto avrei distribuito la mia dichiarazione. Mi sentivo soffocare. Sapevi che sarebbe potuto succedere. Anche se mi manchi, continuo a pensare che ne sia valsa la pena.
Immagina le mie braccia che ti circondano nel nostro letto.
Sei la mia donna, sai che ti amo.
Il tuo Uomo di Pechino
Jian
*Xiaolu Guo è nata in un villaggio della Cina meridionale nel 1973. È autrice di romanzi, poesie e saggi, in cinese e inglese, che sono stati tradotti in diverse lingue. Il suo libro più famoso, Piccolo dizionario cinese-inglese per innamorati, ispirato a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, è stato pubblicato in Italia nel 2007 (Rizzoli). Come regista e sceneggiatrice ha realizzato vari documentari e film, tra cui Once Upon a Time Proletarian, presentato al festival di Venezia, e She, a Chinese, vincitore del Pardo d’Oro al festival di Locarno nel 2009. Dal 2002 vive a Londra.