La Cina si dichiara ancora marxista e non ha tutti i torti

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In occasione dei 200 anni dalla nascita di Karl Marx, il presidente cinese Xi Jinping ha tenuto un discorso di un’ora e undici minuti ai suoi compagni di partito, durante il quale ha confermato quanto dice da tempo: Marx non solo è stato il pensatore più importante «dei tempi moderni», capace di «illuminare» il corso della storia ma il socialismo è ancora oggi l’unico strumento capace di «salvare» e fare progredire la Cina.

Xi Jinping — che poco più di un anno fa a Davos aveva difeso la globalizzazione e qualche giorno fa ha celebrato Marx — ai nostri occhi potrebbe apparire in clamorosa contraddizione. Un Paese ormai potenza mondiale, composto da un numero impressionante di miliardari e dominante sulla scena commerciale globale, può ancora rifarsi a Marx in modo credibile?

Quello che per noi occidentali è un evidente cortocircuito, ai cinesi non appare come tale. Se ci spogliamo della visione che molto spesso ci suggerisce di pensare che a uno sviluppo economico debba seguirne uno politico, capace di portare per forza di cose alla cosiddetta democrazia, potremo capire perché Xi Jinping ha celebrato in modo così sfarzoso Karl Marx.

Molti media internazionali — che spesso utilizzano quello che i cinesi chiamano China bashing, ovvero una critica latente di natura politica alla Cina — proprio in concomitanza con il discorso di Xi hanno ricordato le difficoltà di alcune fasce sociali cinesi, i lavoratori migranti ad esempio, e le tante diseguaglianze ancora esistenti in Cina: tutto vero, del resto si tratta di lacune del sistema ammesse anche da Pechino.

Ma l’utilizzo di Marx da parte di Xi ha senso ed è lineare soprattutto dal punto di vista interno. Quello che Xi sta facendo da quando è salito al potere è offrire ai cinesi dei modelli e dei riferimenti storici, opportunamente adattati alla realtà odierna, capaci di produrre identità in una popolazione frastornata dai tanti cambiamenti.

E come Mao — recuperato soprattutto nella gestione interna del partito — e come Confucio — recuperato per ridare coordinate private, morali e per ricordare l’importanza dell’armonia — anche Marx, rivisitato con opportune caratteristiche cinesi, fornisce strumenti di collante sociale: sostenere che la Cina sia ancora marxista e piegare il marxismo alla Cina di oggi, ha dunque senso.

Partiamo, intanto, proprio da Xi. Come scrisse il professor Guido Samarani su Ispionline, la passione di Xi Jinping per Marx non è certo recente: “un elemento nel percorso politico di Xi è il costante e crescente richiamo al ruolo innovativo del marxismo nel nuovo secolo. La sua formazione nel campo della teoria marxista è fatta risalire soprattutto agli anni di specializzazione a Qinghua, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria chimica e prima dell’assunzione dei primi importanti incarichi politici agli inizi del nuovo secolo”. Per Samarani, illustre storico della Cina, Xi Jinping nella sua formazione avrebbe dato vita a “una visione di un marxismo del ventunesimo secolo con caratteristiche cinesi in grado di non fossilizzarsi e chiudersi, come è stato in passato, dinnanzi alle innovazioni del pensiero scientifico internazionale”.

Anche nelle celebrazioni di Marx da parte di Xi, infatti, non potevano mancare i riferimenti alle “caratteristiche cinesi”. Lasciando agli accademici il compito di stabilire il grado di marxismo presente oggi in Cina, va sottolineato come il tema sia discusso in modo rilevante anche dagli intellettuali cinesi. Basti ricordare come il “nuovo ordine cinese”, di cui parlò per primo l’intellettuale di sinistra Wang Hui, sarebbe caratterizzato proprio da questa insolita alleanza: un approccio economico neoliberale guidato da un partito marxista e, forse in modo ancora più netto, leninista. Il fatto che in Occidente non si abbia mai visto un modello come quello cinese attuale non significa che questo non possa esistere: socialismo e capitalismo, del resto, sono categorie occidentali. Per i cinesi, invece, è normale essere uno dei Paesi più potenti del mondo, gestito da un’elite politica ed economica e dirsi ancora marxista.

Una delle ragioni è di natura identitaria. Xi Jinping ha specificato chiaramente di considerare la Cina erede di Marx, le cui teorie sono dunque adattate anche all’attuale situazione cinese. Lo dimostra, ad esempio, una trasmissione riservata ai millennials e in onda sulla tv cinese dedicata proprio a Carl Marx, il cui pensiero dovrebbe garantire ai giovani la salvezza dall’inquinamento spirituale occidentale. Ugualmente Xi ha sempre richiamato i funzionari a leggere Marx, affinché la sua nuova era possa essere cementificata anche dalla presenza del filosofo tedesco — per le cui celebrazioni la Cina ha consegnato anche una statua alla Germania; Berlino ha accettato riluttante ma ha rifiutato una sorta di giornata sino-tedesca in ricordo di Marx -.

Se quindi analizziamo la celebrazione di Xi Jinping da un punto puramente cinese, è assolutamente comprensibile che il Pcc insista ancora nel ritenersi marxista: perfino nell’epoca di Deng e delle “aperture e riforme” il Pcc non smise di descriversi come marxista, adattando il pensiero di Marx alla propria situazione di Paese in via di sviluppo. E anzi, proprio Deng Xiaoping si confermò marxista e leninista nella gestione del potere interno, tanto se non più di Mao: se aprì il Paese al capitalismo, fece di tutto per garantire che fosse il partito a controllare quei processi.

Da allora ogni leader cinese ha ripetuto le stesse cose. E la presenza dello Stato a regolare la vita economica e politica e quella del partito a regolare la vita sociale, è quanto garantisce l’attuale stabilità cinese, nella quale le ottusità e le storture finiscono per vedere spesso proprio il Pcc come ago della bilancia. Ad esempio: i lavoratori protestano per salari, straordinari non pagati, indennità e chiedono proprio al Pcc di risolvere le controversie con le aziende in questione; o ancora, le proteste per l’inquinamento non sono dirette contro il Pcc ma molto spesso contro fabbriche chimiche o funzionari locali. Al Pcc è richiesto di risolvere i contenziosi come fosse il “vecchio saggio” chiamato a pacificare gli abitanti di un immenso villaggio.

Secondo alcuni intellettuali cinesi questo utilizzo propagandistico di Marx non allevia il Paese da diseguaglianze e sfruttamento. La studiosa dell’università di Leeds, Binqing Xia, nel suo studio sui lavoratori digitali cinesi, passa in rassegna la mole teorica riguardo lo sfruttamento anche in un Paese socialista. Ma il nazionalismo cinese e la spinta di Xi a trovare modellicapaci di amalgamare la popolazione cinese, ad ora, sembrano funzionare di più di chi sottolinea le diseguaglianze in Cina.

Il richiamo a Marx, infine, è anche un avvertimento al mondo intero. Il concetto di lotta di classe, mai citato da Xi nel suo discorso in ricordo di Marx, è come se fosse utilizzato dal Pcc per ricalibrare la lotta su un palcoscenico mondiale: dichiararsi marxisti significa ricordare al mondo che i Paesi prima sfruttati e massacrati dalle logiche padronali delle vecchie potenze mondiali, sono pronti a ribaltare il mondo.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]