La Cina al Consiglio per i diritti dell’uomo

In by Simone

Una nuova infornata di Stati va a consolidare la struttura del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. L’assemblea dell’organismo internazionale ha nominato Cina, Russia, Arabia Saudita, Cuba, Francia, Gran Bretagna, Algeria, Marocco, Namibia, Sudafrica, Maldive, Messico, Macedonia e Vietnam come membri per i prossimi tre anni del Consiglio per i diritti dell’uomo (il Sud Sudan e l’Uruguay hanno invece fallito la nomina).
L’organismo – che non permette diritti di veto o risoluzioni vincolanti e che ad oggi ha avviato procedure speciali su tredici paesi tra i quali Corea del Nord, Cambogia, Israele e Sudan – sostituisce dal 2006 la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, fondata nel 1946. L’allargamento ha suscitato polemiche da parte delle organizzazioni di attivisti, soprattutto rispetto all’ingresso di Cina, Russia, Arabia Saudita e Cuba.

Tutti i paesi che hanno superato il voto dell’Assemblea si sono detti completamente all’altezza della situazione; Cuba ha promesso di permettere una visita – è la prima volta in venticinque anni – di una delegazione della Croce Rossa per controllare lo stato delle carceri, mentre la Cina tramite il suo membro alle Nazioni Uniti, Wang Ming, ha specificato che la Cina «tiene in grande conto i diritti umani e merita la nomina all’interno del consiglio».

Diverso l’avviso degli attivisti di Human Rights Watch, organizzazione non governativa con sede a New York: «con il ritorno di questi paesi all’interno del Consiglio, i difensori dei diritti umani hanno davanti un lavoro molto duro e dovranno raddoppiare i propri sforzi», è stato il commento. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Samantha Power ha commentato – senza nominare apertamente i paesi sospetti – che alcuni dei membri eletti nel consiglio «commettono significative violazioni dei diritti, gli stessi che i consiglio si prefigge di promuovere e proteggere».

Soprattutto rispetto alla nomina cinese ci sono le proteste più importanti, con un gruppo di tibetani che fuori dal palazzo di vetro ha inscenato una dimostrazione delle torture subite dai tibetani ad opera dei cinesi (recentemente la Corte di cassazione ha riaperto un procedimento per genocidio in Tibet, contro alcuni tra i leader principali cinesi, compreso l’ex presidente Hu Jintao).

Non sono mancate critiche anche alla nomina di Arabia Saudita (finita sotto accusa per aver incarcerato, lo scorso mese attivisti senza un giusto processo, oltre all’abuso dei diritti fondamentali per le donne saudite e i lavoratori stranieri) e Russia (accusata anche dall’Unione Europea per processi ingiusti, mancanza di libertà di stampa, repressione contro attivisti) recentemente al centro di critiche proprio nell’ambito della mancanza del rispetto dei diritti umani.

In realtà le nomine includono all’interno del Consiglio alcuni paesi spesso accusati di violazione dei diritti umani, rispondendo a un doppio ordine di potenziali conseguenze: da un lato i paesi che sono tenuti sotto la lente di ingrandimento per quanto riguarda la violazione dei diritti umani e che ora sono all’interno del Consiglio, dovranno dimostrare attraverso passi decisivi la possibilità di essere all’interno di questi meccanismi in modo responsabile.

Dall’altro quelli che sono paesi spesso «accusati» di violazioni, possono diventare anche osservatori degli altri Stati che in alcuni casi non si dimostrano meno colpevoli per quanto riguarda la violazione dei diritti basilari dell’uomo (compresi i paesi europei).