Nuove linee guida delle autorità di Pechino per bloccare violenza, relazioni extraconiugali, reincarnazioni, stregonerie e omosessualità. Sia nelle serie che sul web. Le autorità si affidano ai divieti per proseguire «sulla strada della modernizzazione socialista». Ma attivisti dissidenti pensano sia un boomerang: «Potrà solo aumentare il desiderio degli spettatori di prodotti culturali a tema Lgbt».Banditi dalle serie tv violenza, relazioni extraconiugali, reincarnazioni, stregonerie e, manco a dirlo, omosessualità. La stretta della censura cinese non riguarda solo il piccolo schermo. Ma colpisce anche Internet. Negli ultimi mesi, almeno tre programmi a tema gay sono stati rimossi. Durante un meeting annuale dei produttori televisivi cinesi il 27 febbraio scorso, Li Jingsheng, a capo dell’autorità statale per la stampa, l’editoria, la radio, il cinema e la tv (Sarft), ha annunciato nuove restrizioni su quanto viene trasmesso in tv o online per quanti non rispetteranno un regolamento per la produzione delle serie televisive promulgato lo scorso dicembre.
L’obiettivo delle autorità è evitare la diffusione di prodotti dannosi per l’armonia sociale o che promuovano «relazioni o comportamenti sessuali anormali». All’origine della loro decisione l’indicazione ideologica del presidente Xi Jinping. In un discorso di fronte al forum nazionale della letteratura nel 2014, il cui testo è stato diffuso però solo lo scorso ottobre, Xi aveva ricordato che l’arte doveva essere al servizio del popolo e combattere «ignoranza e stravaganze» diffusesi con la globalizzazione. Solo raddrizzando queste storture, aveva concluso il leader cinese, la Cina avrebbe potuto continuare sulla strada della «modernizzazione socialista». Delle linee guida per i produttori di serie tv erano già state diffuse nel 2010, ma erano meno specifiche e riguardavano soltanto la televisione.
Le nuove linee guida delle autorità di Pechino non risparmiano praticamente nulla: via tutto ciò che possa danneggiare lo stato, le sue autorità, e l’immagine della società; via ogni forma di dileggio nei confronti delle minoranze etniche; via casi polizieschi «grotteschi». Via la magia, reincarnazioni o quant’altro vada contro la scienza o possa alimentare la superstizione dei telespettatori. Via qualsiasi riferimento all’adulterio; via il fumo, l’alcol, le risse; via storie di vendetta e violenza. Via le scene di sesso troppo esplicite. Ma è soprattutto il divieto di rappresentare l’omosessualità a far discutere. «Addiction», una serie per il web dedicata alle vicende amorose di un gruppo di studenti gay, è stata rimossa dai servizi di streaming online a fine febbraio. Gli ultimi tre episodi della serie, hanno scritto i produttori dal loro account Weibo, il twitter cinese, potranno essere visibili su Youtube, che in Cina continentale è bloccato.
Il caso di «Addiction» non è isolato. Il talk show «U Can U Bibi» era stato cancellato subito a luglio 2015, dopo che il suo presentatore, Kevin Tsai, aveva pianto in onda ricordando le proprie difficoltà nel fare coming out. A settembre, poi, un documentario dedicato alla condizione dei giovani gay e dei loro genitori in Cina, «Mama Rainbow», era misteriosamente scomparso dal web. Il mese scorso, infine, anche «Go Princess Go», una commedia romantica da oltre 2 milioni di visualizzazioni, in cui il protagonista viaggia indietro nel tempo ritrovandosi a vivere nei panni di una principessa, è stata rimossa.
La repressione sui temi Lgbt, dicono gli esperti, potrebbe però non avere gli effetti sperati. Come ha spiegato Li Maizi al Wall Street Journal, una delle cinque attiviste femministe arrestate lo scorso anno, potrebbe infatti solo aumentare il desiderio degli spettatori di prodotti culturali a tema Lgbt. «Il mercato è vasto. Le autorità farebbero bene a tenerne conto invece di mettere in atto leggi non scritte o di farsi scudo dietro i valori tradizionali».
[Scritto per il Fatto quotidiano online]