Sinologie – La Belt and Road Initiative: prospettive storiche e geopolitiche (Seconda Parte)

In Sinologie by Redazione

NUOVA VIA DELLA SETA: UN’ANALISI DELL’IMPORTANZA STRATEGICA DELLA COMBINAZIONE DI ROTTE TERRESTRI E MARITTIME NEL “GRAND PLAN” CINESE

Struttura generale del progetto “Belt and Road Initiative”

Il programma economico che per dimensioni, complessità e ambizione incarna al meglio la volontà della Cina di emergere come player internazionale di riferimento nei decenni a venire viene ufficialmente annunciato nell’autunno del 2013. Nel settembre ed ottobre di quell’anno, infatti, il presidente Xi Jinping (durante le visite di Stato, rispettivamente, in Kazakistan ed Indonesia) propone alla stampa mondiale due distinte iniziative, tra loro complementari (note come Silk Road Economic Belt e Maritime Silk Road Initiative of the 21st Century), unificate sotto la denominazione “Belt and Road Initiative”: esse in ultima istanza si configurano come una strategia di sviluppo nazionale omnicomprensivo emanata e diretta da un forte governo centralizzato, determinato a farne la pietra miliare anche in ambito diplomatico e finanziario nel futuro a medio-lungo termine della Repubblica Popolare.

La BRI persegue variegati obiettivi economici e politici, primo fra tutti quello di inserirsi in un contesto internazionale caratterizzato da un discreto grado di incertezza dovuto al ridimensionamento del ruolo egemone esercitato dagli Stati Uniti nell’arena globale e della loro partecipazione nella governance mondiale; l’obiettivo di questo capitolo è tratteggiare gli schemi che stanno alla base dell’iniziativa cinese, approfondendo in prima battuta le differenze che intercorrono fra le precedentemente citate SREB e MSRI, per poi giungere ad un riepilogo che tenga conto del progetto BRI nella sua interezza.

3.2 Sulle orme dell’antica Via della Seta ed oltre: la Silk Road Economic Belt

Come ricordato nel primo capitolo, le rotte terrestri della Via della Seta storica avevano due ideali nodi iniziali: Xi’an e Roma, capitali dei più importanti imperi nelle rispettive aree geografiche; oggi queste distanze si sono ulteriormente ampliate, e i capisaldi possono essere rintracciati in Shanghai e Rotterdam.

Nei quasi 9000 chilometri che in linea d’aria separano queste città si stanno gettando le basi per creare un ponte infrastrutturale capace di connettere l’Oceano Pacifico con il Mar Baltico senza soluzione di continuità: come delineato dal “Documento Bianco” del 2015, il governo cinese ha specificatamente enunciato che la SREB “ha il compito di unire Cina, Asia Centrale, Russia ed Europa”; per riuscire in una tale impresa, ancor prima di studiare i percorsi (ferroviari, autostradali od energetici) più idonei è stato necessario raccogliere un notevole consenso intorno al progetto cinese. Proprio con questa finalità sono stati stipulati nel corso degli anni accordi formali fra la Cina e i possibili co-partecipanti alla SREB: è del dicembre 2014 l’intesa con il Kazakistan, mentre del 2015 sono i memorandum strategici con Russia ed Uzbekistan e del 2016 con l’Egitto; numerosi sono anche i Free Trade Agreements (FTAs): importante in questo paragrafo ricordare quello con la Svizzera del 2014. La tendenza è comunque quella ad un coinvolgimento diplomatico sempre più marcato, come dimostrato dell’adesione cinese al Piano Junker nel corso del 2015: tale partecipazione è sintomatica della volontà di Pechino di creare nuovi legami diplomatico-commerciali che permettano una penetrazione più incisiva delle merci e delle idee provenienti da oriente in un mercato di assoluto rilievo per le ambizioni di crescita del gigante asiatico, con l’aspirazione finale a livello geopolitico di indebolire il sodalizio transatlantico, non più stabile e ferreo come un tempo, che lega l’Unione Europea agli Stati Uniti.

Venendo ora agli aspetti prettamente strutturali della SREB, un buon punto di partenza per un’attenta analisi è quello di considerare il ruolo strategico che l’area centro-asiatica gioca, da un lato, nel mettere in collegamento Cina ed Europa e, dall’altro, nel garantire un sempre più necessario e cospicuo approvvigionamento energetico al gigante asiatico.

In quanto naturale ponte geografico situato al centro dell’enorme massa eurasiatica, l’Asia Centrale (ed in particolare realtà come Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan ed Uzbekistan) ha visto crescere al proprio interno gli investimenti da parte cinese nel settore infrastrutturale, con specifico riguardo per quanto concerne il trasporto su rotaia, tanto che alla fine del 2015 ben 815 convogli svolgevano operazioni transcontinentali (un incremento del 165% rispetto all’anno precedente) mentre dal 2017 sono attivi otto collegamenti regolari fra Cina ed Europa: la sola città di Manzhouli è punto di partenza per due tratte ferroviarie, mentre le restanti sei hanno luogo dalla provincia autonoma dello Xinjiang per poi seguire un percorso attraverso Kazakistan e Russia62; ulteriori fondi sono stati destinati alla realizzazione della ferrovia Cina-Kirghizistan-Uzbekistan, direttrice decisamente importante in quanto farà da trait d’union fra le province orientali cinesi e la zona del Mar Caspio.

Questi sono solo alcuni dei progetti “continentali” che Pechino ha deciso di finanziare; come ha ottimamente evidenziato Jonathan Holslag, incrementare il potenziale della rete infrastrutturale con i paesi limitrofi è un obiettivo per la Cina sin dagli anni Novanta del secolo scorso, e per questo motivo è possibile evidenziare come vi siano numerose altre opere in cantiere, anche volgendo lo sguardo verso sud: meritano una menzione il Corridoio del Karakorum, con obiettivo il Pakistan, e due connessioni ferroviarie verso Vietnam e Laos, entrambe incluse nel più grande “corridoio nord-sud del sud-est asiatico”. In aggiunta a ciò, molteplici sono i treni a lunga percorrenza che vedono un collegamento diretto fra hub commerciali cinesi e grandi città europee: parliamo ad esempio delle linee che mettono in comunicazione Chongqing, Harbin e Zhengzhou con Amburgo, Suzhou con Varsavia ed Yiwu con Madrid; è recente inoltre la notizia di un primo convoglio che lega direttamente l’Italia alla Cina: ogni settimana due coppie di treni viaggeranno sui 10800 chilometri che separano Mortara, in provincia di Pavia, da Chengdu, capoluogo della provincia di Sichuan.

Come rileva Yuan Li, uno dei più fulgidi esempi di cooperazione sino-europea lungo le vie terrestri della SREB è però Duisburg, in Germania: importante centro minerario della regione della Ruhr, nel 2010 vede il completamento della Ferrovia Yuxinou, che garantisce un rapporto diretto fra la realtà tedesca e quella cinese di Chongqing, megalopoli ormai prossima ai 30 milioni di abitanti; la rilevanza e la visibilità internazionale di questo collegamento, capace di portare il tempo medio di trasporto delle merci da 90 a 15 giorni, si può intuire dal fatto che il presidente Xi Jinping in persona ha visitato ufficialmente Duisburg nel marzo 2014. I mutui benefici si estendono non solo allo scambio commerciale puro, bensì hanno notevoli ricadute in diversi altri settori, come ad esempio nell’occupazione locale (20000 nuovi posti di lavoro dati dall’apertura di aziende orientate alla logistica nell’area del porto di Duisburg), nell’approfondimento di partnership istituzionali e nell’agevolazione di scambi interculturali.

Come già ricordato in precedenza, la SREB vede nell’approvvigionamento energetico cinese uno dei principali motori per lo sviluppo di nuovi impianti e connessioni a lungo raggio, tanto che può essere considerato uno dei tre obiettivi principali dell’imponente iniziativa; per illustrare questa affermazione basti ricordare come, già alla fine del 2013, PetroChina (una delle compagnie petrolifere più grandi del paese) avesse attivi oltre 30 progetti che si sviluppavano lungo la dorsale della “Nuova Via della Seta”, tra cui l’oleodotto sino-kazako, il programma estrattivo di gas naturale sulla riva destra del fiume Amu Darya in Turkmenistan, i progetti petroliferi nelle città irachene di Ahdab, Rumaila e Halfaya, il gasdotto dell’Asia Centrale in cooperazione con Turkmenistan ed Uzbekistan e l’oleodotto Cina-Russia.

Come si può ben immaginare, tutte queste grandi opere prevedono un flusso di energia in direzione est, opposto in verso a quello compiuto dalle merci cinesi pronte ad essere spedite verso i mercati europei: questo “corridoio energetico Ovest-Est” sta assumendo una sempre maggior importanza strategica, dato il crescente fabbisogno di combustibili fossili da parte cinese, assolutamente necessari in questo periodo storico per sostenere l’industria domestica (nonostante gli sforzi ed i proclami per una transizione verso le energie rinnovabili); ecco raffigurato il quadro entro cui inserire altre iniziative di ragguardevole spessore, come la pioggia di miliardi che ha benevolmente investito il Kazakistan in questi ultimi anni (già partner in un accordo sulla cooperazione energetica del 2005) e l’investimento da 4 miliardi di dollari nello sviluppo dei giacimenti di gas a Bagtyyarlyk e Galkynysh in Turkmenistan.

Un ultimo aspetto della SREB sul quale ritengo sia necessario soffermarsi è quello delle reti informative: la connettività internet ad alta velocità e lo sviluppo di processi tecnologicamente avanzati quali la robotica, l’IoT70, la zootecnia avanzata e la domotica, sempre più interconnessi a livello globale, necessitano di un potenziamento dei network esistenti. Con tale scopo viene firmato un Memorandum d’Intesa fra Commissione Europea e governo cinese per aumentare le sinergie fra i rispettivi progetti EFSI72 e BRI, che ha portato al lancio della “EU–China Connectivity Platform” e della “Trans-European Transport Network policy”; queste iniziative puntano a facilitare le strategie cooperative al fine di migliorare la visibilità degli investimenti lungo la nuova Via della Seta, sostenendo al contempo la creazione di standard tecnici e di progetti tecnologici condivisi.

3.3 Scenari geopolitici e network infrastrutturali della Maritime Silk Road Initiative

Anche per la costola marittima della BRI è possibile tracciare un parallelo con alcune rotte che anticamente esperti mercanti-navigatori solcarono, in particolar modo lungo l’oceano Indiano, per commerciare beni e manufatti di pregio tra Oriente od Occidente. Il progetto odierno è però notevolmente di più ampio respiro, dal momento che l’obiettivo ultimo è quello di creare un collegamento continuo e dinamico fra la costa orientale della Cina (fra i cui principali porti si annoverano Tianjin, Shanghai, Fuzhou e Ningbo) ed il principale hub europeo, Rotterdam, in Olanda; per giungere a questo traguardo è e sarà necessario uno sviluppo di rilevanti dimensioni dell’area costiera dell’oceano Indiano, sia sui litorali asiatici che su quelli africani, per poter permettere alle navi in transito un percorso agevole sino all’entrata nel mar Mediterraneo, che potrebbe quindi ritrovare una centralità strategica ormai smarrita da diversi secoli.

Nell’analisi di un progetto così imponente è necessario tratteggiare gli aspetti concernenti sia la costruzione delle cosiddette ‘hard infrastucture’ (costruzione di porti ed aeroporti, connessioni ferroviarie ed autostradali, parchi industriali, impianti per telecomunicazioni, collegamenti energetici) sia lo sviluppo delle soft infrastucture (accordi di libero scambio, trattati bilaterali d’investimento, abbattimento di barriere doganali): queste due prospettive, distinte ma complementari tra loro, non sono altro che il concreto dispiegamento di intendimenti economico-politici che, se ben coordinati, potrebbero essere capaci di trasformare spazi e azioni di individui, aziende e governi con una pervasività mai vista prima su una scala pressoché globale; ecco dunque emergere in maniera netta l’intento geopolitico insito nella proposta della BRI, che tanto preoccupa diversi partner dell’iniziativa, in special modo quelli inseriti nel contesto geografico dell’oceano Indiano. Su tutti la democratica India, geograficamente al centro del bacino oceanico e potenza regionale in rapida ascesa, la quale teme grandemente un possibile insediamento permanente della Cina nel contesto locale quale ostacolo ai propri affari; questo sentimento, corroborato dalle teorie navaliste di stampo mahaniano che vedono nel dominio sui mari e dei relativi accessi (o “chokepoints”, nella dicitura anglosassone) la chiave per ottenere la supremazia strategica, ed alimentato dalle effettive azioni cinesi (acquisizioni di porti cruciali quali Gwadar in Pakistan, Obock in Gibuti, Hambantota in Sri Lanka), ha spinto il governo di Delhi a vedere con sospetto gli inviti di Pechino a cooperare nel quadro della BRI. Un atteggiamento diametralmente opposto invece è stato tenuto, per esempio, dallo Sri Lanka, volenteroso di capitalizzare il proprio favorevole posizionamento al centro dell’oceano Indiano e porsi come snodo fondamentale lungo la MSRI.

Tale progetto tuttavia non include solamente aspetti che hanno per oggetto oceani, porti e rotte costiere, bensì incorpora piani e proponimenti per sviluppare un’estesa rete di corridoi terrestri a supporto delle proposte marittime; vi sono due sentieri principali che permettono alla Cina di interfacciarsi con l’oceano Indiano: il “Corridoio Economico Sino-Pakistano” ed il “Corridoio Meridionale” attraverso il Myanmar.

Il primo permetterà alla provincia autonoma dello Xinjiang di relazionarsi con l’area del mar Arabico, avendo nel già citato porto di Gwadar lo snodo principale, mentre il secondo, attraverso lo sviluppo della via Kyaukpyu-Yunnan, consentirà di connettere la Cina meridionale con il golfo del Bengala; in particolare verranno realizzati un oleodotto ed un gasdotto capaci di trasportare, rispettivamente, 12 milioni di tonnellate di petrolio e 12 miliardi di metri cubi di gas naturale verso la Cina, operazioni strategiche per Pechino in quanto capaci di evitare un lungo viaggio alle navi petroliere attraverso lo Stretto di Malacca. In aggiunta a ciò, è in fase di negoziazione un programma ancor più ambizioso, denominato “Corridoio BCIM”, capace di legare sul piano economico Cina, Myanmar, Bangladesh ed India; ritornano qui però i dilemmi da parte indiana che sono già stati menzionati precedentemente, pertanto è difficile che venga concretamente realizzato e può essere ritenuto uno dei massimi esempi di come i timori a livello politico possano intaccare lo sviluppo e la piena realizzazione dei proponimenti sub-regionali collegati alla BRI.

Non bisogna dimenticare comunque la dimensione infrastrutturale del progetto: come specificatamente evidenziato nel Documento Bianco del 2015, una delle priorità è infatti quella di “proseguire con la costruzione di infrastrutture portuali, costruire canali di trasporto fluviali ed incrementare la cooperazione portuale; aumentare le rotte marittime ed il numero dei viaggi, e migliorare la cooperazione in materia di tecnologia informativa nella logistica marittima”.

Il potenziale rischio economico di questa iniziativa (così come per la SREB) è ad ogni modo elevatissimo, dal momento che sono coinvolti molti paesi sottosviluppati, dove la sicurezza navale è messa in crisi da numerosi episodi pirateschi (esemplare il caso della Somalia) e la condivisione delle informazioni rigurdanti il trasporto marittimo è assai scarsa; per migliorare questa situazione sono chiaramente necessari grandi investimenti, il cui ritorno economico, oltre che incerto, è previsto solo nel lungo periodo.
I capitali finanziari non sono gli unici a giocare un ruolo di rilievo nel successo della proposta cinese: infatti anche le risorse diplomatiche sono e saranno decisive per poter far sì che le svariate turbolenze di carattere religioso e storico lungo le antiche rotte della Via della Seta non vadano a minare la stipula di accordi formali e trattati commerciali.

Un ultimo pericolo, già ricordato in precedenza, è quello di una possibile percezione errata del progetto cinese all’estero, sopratutto dal punto di vista della strategia geopolitica, tanto che alcuni esperti hanno sollecitato ad evitare l’uso superficiale del concetto di “strategizzare” l’iniziativa da parte di alcuni analisti cinesi.

In conclusione, la Maritime Silk Road Initiative, pur con tutti le criticità e le problematiche presentate, fa certamente parte di quella “strategia orientata alla connettività” che è la Belt and Road Initiative, basata sui due concetti principali di “intercomunicazione” e “congiuntamente”: col primo termine viene indicata la mutua dipendenza, sostrato primigenio dell’intera iniziativa, esplicitato dall’obiettivo primario della MSRI di intensificare le relazioni fra la Cina e gli stati partner, mentre col secondo termine si pone l’accento sulla cooperazione win-win per tutti i partecipanti, in particolare sul versante della sicurezza in ambito commerciale ed energetico, come dichiarato dal consigliere di Stato Yang Jiechi al Boao Forum per l’Asia nel 2015.

3.4 La complementarietà dei progetti SREB e MSRI

Pur con le rispettive, talora marcate differenze di segno politico, economico e sociale, nonché quelle relative ad impatto ambientale e rischio geopolitico, la Silk Road Economic Belt e la Maritime Silk Road Initiative presentano degli indubbi punti di contatto e persino delle sinergie che è importante evidenziare al fine di comprendere l’effettivo impatto che la complessiva Belt and Road Initiative potrà avere sul mondo.

Da un punto di vista geografico, è manifesto come alcuni dei principali “corridoi” terrestri82 siano interrelati con strutture costiere nodali, come il già citato porto di Gwadar in Pakistan (situato alla fine del Corridoio Economico Sino-Pakistano); è però nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa che SREB e MSRI trovano il loro raccordo più evidente: già zona di importanti traffici commerciali tra Oriente ed Occidente nel passato, come analizzato nel primo capitolo, oggigiorno essa si può considerare la sezione finale del Corridoio Economico Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale che corre dallo Xinjiang fino all’Iran e alla Turchia. In aggiunta a questo, le rotte della MSRI passano esattamente a sud della penisola arabica, toccando le coste di Somalia (porto di Mogadiscio) e Gibuti (Obock) per poi risalire lungo il Mar Rosso ed il Canale di Suez e sfociare così nel Mediterraneo, nel quale bisogna sottolineare la dinamicità degli investimenti cinesi per l’acquisto di hub portuali strategici: su tutti il Pireo di Atene, ma anche gli scali italiani di Genova, Venezia e Trieste, con i due adriatici che sono considerati vitali per la piena riuscita dei collegamenti commerciali verso l’Europa orientale e centro-settentrionale. In seguito alle osservazioni sopra riportate, il Medio Oriente è spesso considerato il punto ove “la Cintura (marittima) incontra la Strada (terrestre)”. Mantenendo il focus sull’area mediorientale, vi sono numerosi altri progetti collocabili all’interno della cornice della BRI per quanto riguarda il settore chiave dell’energia, secondo due direttrici principali: una è focalizzata sullo sviluppo e la gestione di impianti fisici, quali oleodotti, gasdotti, centri di stoccaggio e smaltimento rifiuti, reti viarie e centri di ricerca, mentre l’altra è indirizzata ad un approfondimento della cooperazione a livello di soft environments, come la stipula di accordi bilaterali e la facilitazione di scambi ed investimenti internazionali.

Un’ultima prospettiva entro cui è possibile osservare il rapporto Cina-Medio Oriente viene fornita dall’analisi del documento China Arab States Policy Paper, rilasciato ad inizio 2016 pochi giorni prima della visita del presidente Xi Jinping presso Arabia Saudita, Iran ed Egitto: oltre alla rinnovata espressione dei concetti di non-interferenza e non-intervento negli affari interni dei paesi partner (tipici del pensiero del predecessore di Xi, Hu Jintao), che pone quindi gli stati arabi in una condizione di parità rispetto alla potenza orientale, si può rilevare un modello di relazioni economiche chiamato “1+2+3”, in sostanza una piattaforma di cooperazione che ha l’energia come nucleo fondamentale, le infrastrutture ed il commercio come “due ali” e le nuove tecnologie quali quelle relative ad energia nucleare, aero spazio e fonti rinnovabili come “tre svolte”88. In definitiva, le sinergie esistenti tra Silk Road Economic Belt e Maritime Silk Road Initiative sono tangibili e anzi sono destinate ad essere approfondite nel futuro, secondo gli schemi e le direzioni mostrate in questo capitolo; le criticità di vario ordine (geopolitico, securitario,commerciale, come ampiamente sottolineato), pur non trascurabili, non pregiudicano ad oggi il possibile successo della Belt and Road Initiative nel suo complesso.

* Tesi discussa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
 dell’Università degli Studi di Pavia, Corso di Laurea in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali. Relatore:
Prof.ssa Enrica Chiappero.

**Luca Spinosa, laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Pavia. Frequenta il master Europe and Asia in Global Affairs a Parigi e trascorrerà il prossimo anno accademico presso la Fudan University di Shanghai.