In Cina e Asia – Taiwan in piazza per l’indipendenza

In Notizie Brevi by Redazione

Taiwan in piazza per l’indipendenza

Oltre 100mila persone. 30mila per per la polizia. Sono i numeri della manifestazione organizzata sabato dalla Formosa Alliance, una nuova realtà politica guidata dai due ex presidenti indipendentisti in pensione  Mr Lee Teng-hui e Chen Shui-bian con l’obiettivo di promuovere un referendum popolare sull’indipendenza. Vero anatema per Pechino che considera un divorzio dell’isola de jure inaccettabile. Mentre il partito di governo ha preso le distanze dalle proteste, la mobilitazione – la più numerosa degli ultimi 20 anni – evidenza una crescente polarizzazione all’interno della società taiwanese, insofferente nei confronti della remissività della presidente Tsai Ing-wen davanti alla strategia di isolamento messa in atto da Pechino sul proscenio internazionale. Difficilmente Tsai approverà la riforma costituzionale necessaria per poter procedere con il referendum. Ma la massiccia partecipazione popolare è di per sé un segnale che la leadership non può permettersi di ignorare.

Il mercato cinese fa tremare i titoli del lusso

La stretta sui consumi fa tremare il settore del lusso nel Vecchio Continente. L’allarme dovuto al calo della domanda in Cina ha spinto verso il basso le quotazioni dei più noti marchi internazionali, da Tiffany a Estée Lauder. La ragione va attribuita al giro di vite lanciato da Pechino contro i daigou, privati cittadini che, una volta all’estero, acquistano prodotti costosi per rivenderli in Cina, dove il lusso è soggetto al rincaro dei dazi. Si tratta di un sistema fin’oggi tollerato ai margine della legalità. Ma ora che l’economia mostra segni di affaticamento, le autorità stanno correndo ai ripari con controlli più stringenti agli aeroporti. Quest’anno durante la Golden Week i consumi hanno toccato i minimi dal 2000, perdendo 10 miliardi di dollari rispetto all’anno scorso. Ecco che la guerra contro i daigou ha uno scopo chiaro: riportare gli acquisti in patria.

Nel 2040 i cinesi vivranno più degli americani

Nel 2040, le aspettative di vita a livello mondiale subiranno un netto rimescolamento, con la Spagna (85,8 anni) pronta a raggiungere il primo gradino del podio e la Cina destinata a superare gli Stati Uniti. A sostenerlo è uno studio condotto dall’ Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) della University of Washington, secondo il quale la prima economia mondiale  slitterà dalla 43esima posizione alla 64esima con un’aspettativa di vita media di 79,8 anni, mentre la Cina ascenderà al 39esimo posto in salita rispetto al 68esimo ricoperto attualmente con una longevità media di 81,9 anni. Mentre la ricerca ammette variazioni a seconda dell’impegno che i vari paesi assumeranno nella protezione sanitaria, alcuni trend dovrebbero rimanere invariati: la principale causa di morte prematura si sposterà sempre più dalle malattie trasmissibili alle malattie non trasmissibili, mentre i paesi più poveri continueranno a rimanere in fondo alla classifica.

Giappone: troppi morti, non c’è spazio

Il rapido invecchiamento della popolazione sta esponendo il Giappone a un problema meno evidente da un punto di vista mediatico della carenza di forza lavoro, ma ugualmente pressante: l’aumento dei decessi – che nel 2040 interesserà ogni anno 1,70 milioni di persone – sta mettendo a dura prova le risorse nazionali, anche in termini di spazio. Circa il 3% degli anziani ricade sul welfare statale e molti al momento della morte non sono in grado di far fronte alle spese funebri né hanno parenti prossimi disponibili a contribuire. Con il risultato che nella città meridionale di Fukuoka il numero delle urne ancora non ritirate ha raggiunto le 6.000, mentre a Osaka, solo nell’ultimo anno i resti di 2.366 persone sono stati seppelliti in una fossa comune dopo che nessuno li ha reclamati per più di uno o due anni. “Un tempo famiglie e comunità erano solite ricoprire ruoli di assistenza per le persone decedute”, spiega Hisako Makimura, professore di sociologia della Kasai University, “ma adesso l’onere sta passando sempre di più ai governi locali”.