La battaglia degli imbottigliatori della Pepsi

In by Simone

Non si placano le proteste dei lavoratori in Cina. Questa volta è il turno di diverse migliaia di lavoratori in almeno cinque città cinesi che hanno inscenato una protesta coordinata contro un’acquisizione da parte di un’azienda di Taiwan degli impianti di imbottigliamento della PepsiCo. Mentre molte aziende, anche cinesi, si spostano dal Guangdong, polmone economico cinese, per andare verso l’interno a cercare manodopera a basso prezzo, le lotte dei lavoratori cinesi continuano, confermando un trend dal 2010 che vede una nuova generazioni di lavoratori affacciarsi sulla scena sociale cinese.

Dopo gli scioperi degli ausiliari di Shanghai e le molte manifestazioni da parte degli impiegati nel settore trasporti, questa volta tocca agli addetti all’imbottigliamento della Pepsi contestare l’acquisizione della fabbrica da parte di un’azienda di Taiwan, inscenando una clamorosa campagna in cinque città cinesi e chiedendo garanzie sul proprio futuro lavorativo.

Le città toccate dalle proteste sono Chongqing, Chengdu, Nanchang, Fuzhou e Changsha: secondo il sito internet zg-ld.com almeno 1100 dei 1300 lavoratori dello stabilimento di Fuzhou avevano aderito alla protesta iniziale, con numeri simili nelle altre città.

I lavoratori dei cinque stabilimenti poi hanno spostato la campagna su internet, per portare a protestare più di 20mila lavoratori provenienti da tutti i 24 impianti di imbottigliamento della Pepsi in Cina. L’accordo siglato dalle due società il 4 novembre vedrà la statunitense PepsiCo trasferire parte delle proprie quote alla taiwanese Tingyi-Asahi Bevande, filiale di Tingyi (registrata alla isole Cayman). In cambio, PepsiCo riceverà il 5% per cento di Tingyi-Asahi, con la possibilità di aumentare la quota al 20% entro ottobre 2015.

I lavoratori temono che i contratti con il loro attuale datore di lavoro, la PepsiCo in Cina, possano avere delle ripercussioni negative al termine della transazione. Un lavoratore che si è identificato come Li Yi ha detto al South China Morning Post: “stiamo chiedendo un indennizzo adeguato e modalità di lavoro appropriate”. Un altro lavoratore dello stabilimento di Chengdu ha annunciato la nascita nel suo stabilimento di una task force volta a salvaguardare i loro diritti. I lavoratori chiedono alla PepsiCo di bloccare la fusione o compensarli “per aver spinto verso la vendita senza chiedere il loro parere. Esistono esigenze diverse tra le fabbriche, ma i leader che sono emersi da questa forma di contestazione spontanea, hanno chiesto colloqui con la dirigenza per trovare delle soluzioni “comuni”.

La statunitense PepsiCo in una e-mail di risposta alle notizie uscite sulla stampa a proposito delle proteste ha specificato che “il suo accordo con Tingyi non cambierebbe i contratti di lavoro: in qualità di datore di lavoro responsabile, PepsiCo è fortemente impegnata a tutelare gli interessi ed i benefici dei propri dipendenti”. Kungyu Chen, portavoce di Tingyi, ha invece fatto sapere di non essere in grado di commentare lo sciopero: “siamo ancora in attesa di approvazione definitiva dell’accordo da parte del Ministero del Commercio.

Anche se Tingyi e PepsiCo hanno già firmato l’intesa, ci vuole tempo per ottenere il consenso delle autorità. Non abbiamo nient’altro da fare che aspettare”.

[Anche su Lettera43]