I dolori dei developer immobiliari cinesi

In by Simone

Per i developer immobiliari l’aria si è fatta improvvisamente pesante: il taglio dei prestiti bancari li obbliga a svendere per fare cassa e ad ottobre i volumi di vendite sono calati fino al 18 per cento nelle maggiori città. Fángzi (房子), “casa”, anno 2006, regista Jia Wuhao. Alcuni anziani di Pechino resistono allo sgombero nel quartiere di Daguanying, un tempo residenza delle famiglie nobili, mentre un nuovo piano di “sviluppo” devasta tutta l’area circostante e i grattacieli già sovrastano le loro abitazioni. L’acqua viene tagliata, sono minacciati, la polizia non interviene.

Loro ricorrono al consiglio di zona, dove riescono a provare che lo sgombero è illegale. Di notte vengono aggrediti dai tirapiedi delle immobiliari e il giorno dopo le ruspe sono ancora lì, minacciose.

Nuǎndōng (暖冬), “un tiepido inverno”, anno 2011, regista Zheng Kuo. A cavallo tra il 2009 e il 2010, alcuni artisti pechinesi vengono scacciati dai loro atelier a forza di aggressioni e provocazioni da parte di sgherri a libro paga dell’immobiliare di turno. Loro si richiamano alle leggi della “società armoniosa” e organizzano il “piano del tiepido inverno”, una resistenza a base di creatività e impatto mediatico. Dopo gli iniziali successi, vengono isolati dal mondo dell’informazione e quotidianamente minacciati. Esasperati, pensano a una clamorosa protesta proprio nel cuore del potere cinese.

Méishì jiē (煤市街) “via Meishi”, anno 2006, registi Ou Ning e Cao Fei. Questa volta è l’“uomo qualunque”, Zhang Jinli, che resiste allo sfratto del suo ristorante, eredità di famiglia, che deve lasciare spazio all’allargamento di una strada giusto a ridosso di Piazza Tiananmen. Il regista Ou Ning affida a Zhang una videocamera, con la quale l’uomo riprende in soggettiva tutta la vicenda, fino all’epilogo. Non è fiction, sono documentari, storie vere.

7 novembre 2011. Il developer Ji Wenhua è condannato a morte dal tribunale del popolo di Lishui, nello Zhejiang, per avere guadagnato in modo fraudolento 5,5 miliardi di yuan (quasi 640 milioni di euro) attraverso “schemi piramidali” e attività finanziarie illecite. Tra il 2003 e il 2008, Ji aveva raccolto denaro dalle sue vittime promettendo la restituzione di interessi mensili compresi tra il 15 e il 120 per cento.

Con lui sono stati condannati anche tre suoi parenti: due a morte – ma la pena è stata sospesa – un altro all’ergastolo. Due impiegati della sua agenzia immobiliare, la Yintai Real Estate Group, sono stati condannati a tre anni di reclusione. Anche questa notizia è vera. Dalle vicende narrate nei cortometraggi indipendenti citati prima* sono passati pochi anni, forse mesi. Ji Wenhua è l’uomo sbagliato, al posto sbagliato, al momento sbagliato.

È uno di quei personaggi che, nei documentari avrebbe probabilmente fatto la parte del cattivo debitamente protetto dalla polizia connivente. Ora è un colpevole, forse una vittima. Il punto è che tra gli eventi ricostruiti dai film e l’epilogo della sua vicenda, c’è stato un cambiamento importante: il mattone – come abbiamo già cercato di raccontare – non costruisce più la “grande muraglia” contro il virus della crisi che arriva da occidente, non è più il traino dello sviluppo cinese; anzi, è considerato il suo limite, perché ha creato una bolla che inghiotte risorse altrimenti destinate a investimenti produttivi e rende impossibile a molti cinesi l’acquisto di una casa decente.

Inoltre, Ji Wenhua ha creato una struttura finanziaria illegale, “ombra”, di quelle sotto accusa per aver mandato quasi in rovina i piccoli imprenditori dello Zhejiang. Gli è andata proprio male. Lui è il caso limite, l’agnello sacrificale che deve essere immolato per dimostrare che le autorità fanno sul serio. Ma che per i developer immobiliari l’aria si sia fatta improvvisamente pesante, lo dimostrano anche i numeri, non solo la caduta in disgrazia politica con tutti i rischi che comporta. Il taglio dei prestiti bancari li obbliga a svendere per fare cassa e ad ottobre i volumi di vendite sono calati fino al 18 per cento nelle maggiori città.

Sono soprattutto i prezzi residenziali a essere andati giù, perché i potenziali compratori aspettano di vedere dove andranno a parare le misure del governo. Così, molti costruttori-immobiliaristi si sono ormai riconvertiti totalmente agli edifici commerciali. Il mercato non sta crollando, ma si sta ridefinendo. Proprio come era nelle intenzioni del governo. Resta la punizione simbolica, il monito pubblico. A questo proposito, sul South China Morning Post vengono ripresi i commenti di due giuristi.

L’avvocato del commercio Zhang Junsan sostiene che la condanna a morte è inutile come deterrente: “Se la pena capitale è indicativa di un giro di vite, serve solo a rivelare quanto poco i legislatori abbiano fatto prima.” Li Youxing, dell’università dello Zhejiang sostiene che “i legislatori avrebbero dovuto sapere dell’esistenza di schemi finanziari che sono andati avanti per anni e hanno raccolto enormi somme, ma nessun provvedimento né sistema d’allarme ha mai visto la luce.” “Solo quando la natura fraudolenta di queste operazioni le trasforma in problemi sociali, le autorità cominciano a fare qualcosa – aggiunge Li – ma spesso è troppo tardi e c’è poco che si possa fare.”

I cinesi, non si sa se pochi o molti, si chiedono insomma perché i palazzinari e gli speculatori edilizi abbiano potuto agire finora indisturbati o, per meglio dire, con l’appoggio delle autorità. Come dimostra l’esperienza diretta di chi, nell’arco di oltre un decennio di aggressivo capitalismo del mattone, ha perso la casa a fronte di indennizzi irrisori. E come racconta qualche coraggioso cineasta indipendente.

*Raccolti ora nell’archivio della Li Xianting’s Film Fund di Songzhuang, un sobborgo di Pechino. La Fondazione organizza ogni anno il festival del cinema indipendente della capitale cinese con molta passione, infinito coraggio e pochi soldi.

** Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.