Jiang Zemin – la falsa notizia lede la libertà di stampa

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24)

Il 6 luglio scorso un’emittente di Hong Kong annuncia che Jiang Zemin è stato stroncato da un infarto. Dopo meno di 24 ore, l’agenzia di stampa cinese Xinhua smentisce la notizia bollando l’informazione di Asia Tv come “semplice pettegolezzo”. I vertici si scusano.
A due mesi dall’incidente mediatico, il consiglio legislativo dell’ex colonia britannica ha aperto un fascicolo che fa presagire minaccia di sanzioni. La stampa locale non concede sconti, e il tam tam sta riversando fiumi d’inchiostro sui giornali.

L’opinione pubblica si scaglia contro l’intrusione di Pechino; secondo i cittadini indignati, infatti, la presunta lesione della libertà di stampa sarebbe ad opera non tanto di un singolo individuo, quanto del Partito comunista cinese (Pcc).

Ad agire lontano dai riflettori un nome e cognome: Wang Zheng, influente azionista di ATV.

Chi è Wang? Figlio di Sheng Xuanwai, un funzionario dell’imperatrice Cixi, caduto in disgrazia durante la Rivoluzione Culturale. Wang Zheng, nato nel 1963, per scansare la scure delle Guardie Rosse – le sentinelle della Rivoluzione volute da Mao – prende il cognome della madre. Alcune voci che circolano da tempo indicherebbero un legame di parentela tra Wang Zheng e la moglie di Jiang Zemin, Wang Yeping. Wang è un cognome molto diffuso in Cina, e questo dovrebbe bastare a far cadere le maldicenze. A meno che l’ipotesi non sia avvalorata dall’ambiguità del personaggio; Wang Zheng non ha mai confermato, ma neanche smentito, le indiscrezioni sul pedigree familiare. E che Wang sia il nipote diretto di Yeping, cugina di sua madre, a Hong Kong è ormai di dominio pubblico.
Nella sua scalata al potere, Wang si è fatto alcuni nemici. Qualche anno fa, l’ingresso di Wang Zheng in ATV fece prendere il panico alla gola al magnate taiwanese Tsai Eng-Meng, Ceo di Want Want – produttore delle famose tortine di riso -, che aveva investito una fortuna sull’emittente televisiva senza vedere un aumento degli utili. Tsai aveva rilevato una quota di ATV con lo scopo di risollevare le sorti finanziarie dell’azienda, ma i conti di ATV continuavano ad essere in rosso. Poi arrivò il giorno in cui un altro degli azionisti, Payson Cha, con l’intento di arginare le perdite, cedette parte delle quote a Wang Zheng che entrò nel gruppo come azionista di maggioranza. All’insaputa di Tsai, che menò fendenti portando il caso al tribunale. E lo vinse. Ma la causa giudiziaria si dissolse in un bolla di sapone: Wang Zheng mantenne la barra dritta, tranciò la carriera dei manager della ‘cricca’ rivale e il potere del magnate di Want Want subì un ridimensionamento. A Hong Kong gira voce che oggi Wang e Tsai non siano più nemici, ma questa è un’altra storia.

Riassunto

Wang Zheng, un cinese di nobile lignaggio presumibilmente legato alla famiglia di Jiang Zemin, è alla guida di uno dei tre maggiori canali televisivi dell’ex colonia britannica. Potenzialmente, però. Legalmente, infatti, Wang è detentore di bond convertibili (200 milioni di dollari HK sborsati solo l’anno scorso): ha l’opzione di assumere il controllo diretto della società, ma tecnicamente è un quasi-proprietario; possedere le convertibili equivale, infatti, a restar fuori dal consiglio di amministrazione. Ma come vedremo, solo in apparenza. La legge a Hong Kong proibisce ai non residenti di detenere quote azionarie negli organi mediatici al fine di tutelare la libertà di stampa. Meglio: chi detiene la licenza di una stazione televisiva non può essere un non residente, laddove non vi sono restrizioni sulle qualifiche degli operatori e chiunque può ricoprire l’incarico di amministratore delegato o direttore. A una condizione: che l’organigramma della società venga reso pubblico. Wang Zheng ha ottenuto la cittadinanza hongkonghese e ha diritto di voto; la legge lo autorizza a essere azionista di un ente locale ma gli vieta di operare direttamente nella gestione aziendale. In altre parole, è un capitano senza il timone. Non può influenzare le decisioni editoriali. Nell’organigramma della società Wang appare con il titolo di senior advisor; una qualifica “neutra”. Wang, infatti, è sempre stato guardato con sospetto dall’opinione pubblica che vede in lui un protégé di Pechino che ha la missione di trasformare l’emittente nel megafono del Pcc. Figurando come investitore, senza alcun ruolo diretto nel top-magagement, Wang ha cercato di impressionare positivamente il pubblico, rassicurando l’ex colonia che lo ha sempre trattato con ostilità.
L’opinione pubblica gli crede? La risposta è, ovviamente, no. E l’incidente mediatico è per molti la prova che dietro le quinte si nasconda proprio lui. Del resto, per assicurarsi un braccio operativo ed eludere le restrizioni senza dare troppo nell’occhio, Wang avrebbe piazzato i suoi parenti in posizioni strategiche: il cugino, Sheng Pinru, ricopre il ruolo di amministratore delegato, e Wong Ben-koon – il presidente del Cda – detiene il 52,4% delle azioni societarie . Qualcuno ironizza, e ribattezza l’emittente CCATV (CCTV è il nome della tv statale cinese). 

I fatti
Il 6 luglio scorso l’emittente di Hong Kong annuncia che Jiang Zemin è stato stroncato da un infarto.
Dopo meno di 24 ore, l’agenzia di stampa cinese Xinhua smentisce la notizia bollando l’informazione di Asia Tv come “semplice pettegolezzo”. I vertici di Asia TV si scusano. Ma nel mese agosto, la Broadcasting Authority di Hong Kong apre un dossier sullo ‘scivolone’ della stazione tv dopo aver ricevuto ed esaminato 41 reclami, nessuno dei quali – assicurano dall’Organo di controllo – proveniente dal governo cinese. E se la società dovesse essere ritenuta colpevole il conto da pagare sarebbe molto salato con sanzioni, multe e soprattutto con la sospensione della licenza per violazione della legge che regola le trasmissioni. La legge a Hong Kong è più complessa di ciò che sembra. In realtà, non esiste una legge che stabilisce che le autorità debbano difendere la libertà di stampa. Ma qualsiasi interferenza nel settore delle telecomunicazioni è considerata una violazione della Basic Law di Hong Kong, che afferma la libertà di stampa come principio ineludibile. Sul piede di guerra non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto le associazioni giornalistiche, tra cui la International Journalist Association e la Journalist practitioners association, che hanno definito il caso “grave” e fanno pressing sugli organi competenti per raggiungere un verdetto.
Ma la deflagrazione deve ancora arrivare. A due mesi dall’incidente del 6 luglio scorso, lunedì scorso il presidente Leung Ka-wing ha lasciato il suo incarico.  “Mi dimetto perché ho fallito. Ho la piena responsabilità di ciò che è successo. Nonostante il mio impegno, non sono stato in grado di bloccare la diffusione della notizia” ha spiegato Leung senza aggiungere ulteriori dettagli. Un fatto inaudito, a Hong Kong, dove – secondo la stampa locale – non è mai accaduto che il direttore di un’emittente non abbia saputo bloccare la diffusione di una notizia. E dopo di lui è stata la volta del vice presidente Tammy Tammy Wei-yee.

La vicenda sta seminando tra gli organi di stampa di Hong Kong forti dubbi sull’imparzialità giornalistica. Sono in molti a considerare la vicenda come la prova che l’indipendenza editoriale è compromessa dal modus operandi del top management della stazione televisiva. L’ex colonia britannica, restituita alla Cina nel 1997, gode di ampie forme di autonomia, tra cui la libertà di stampa.
A Hong Kong sono in molti ad additare Wang Zheng come il padre putativo della truffa mediatica. Si ipotizza che Wang abbia sottratto la notizia dal satellite di famiglia, anticipando il decesso dell’ex presidente cinese prima che costui avesse tirato le cuoia. Il motivo è semplice: per un’azienda in perdita come ATV avere l’esclusiva sulla morte di Jiang Zemin costituisce un valore commerciale in grado di raddrizzare i conti. Il caso ha destato anche l’attenzione del Consiglio legislativo di Hong Kong che, secondo il quotidiano locale The Standard, ha convocato Leung Ka-wing per far luce sulla questione e "indagare su tutto ciò che si nasconde dietro le dimissioni”.  Wang ha fin da subito respinto al mittente le accuse di manipolazione mediatica, dichiarando di essere all’oscuro della notizia prima che ATV la diffondesse, avendola lui stesso appresa guardando il notiziario.

Ma la pressione dell’opinione pubblica procede a tamburo battente. Non solo. Mentre su ATV si abbatte la tempesta, Wang fa sapere di essere in attesa di una promozione. “Dopo il recente trambusto, posso dirvi che farò domanda per salire di livello in ATV. Spero che mi sosterrete”, ha dichiarato Wang aggiungendo di aver lavorato finora come “volontario”. Sulla carta Wang – infatti – risulta un semplice consulente. Nel suo discorso tenuto al lancio della campagna 2011 “Loving hearts” di Hong Kong, ha poi aggiunto “è normale che durante una ‘rivoluzione’ (come quella in corso ai vertici di ATV, ndr), emergano dibattiti in seno all’azienda. Ma la situazione, purché non venga politicizzata, può essere risolta attraverso la comunicazione interna. Risvegliamo ATV, il leone assopito!”. Un grido di battaglia che secondo la stampa locale sarebbe da ricollegarsi con un articolo apparso due giorni fa che riferiva l’interesse di un’impresa edile di Shenzhen ad acquisire quote azionarie di ATV. L’emittente finita nell’occhio del ciclone dopo “l’incidente Jiang Zemin” si è messa alla ricerca di nuovi investitori. Il portavoce della stazione ha però escluso qualsiasi collegamento con l’articolo ed è stato vago sulla posizione interna che Wang avrebbe l’ambizione di ricoprire.
Se la rimozione di Leung sarà sufficiente a placare la furia degli organi di stampa cinesi, Wang potrebbe passare per le forche caudine dell’indagine che sta tracimando sui media hongkonghesi in questi giorni. L’ipotesi corroborata dalle dichiarazioni di Leung – un’ammissione implicita di manipolazione – è che Wang abbia imposto al presidente dimissionario di diffondere una notizia, per giunta falsa, in palese violazione della legge che regola la libertà di stampa.

Mentre il turmoil che scuote la cronaca dei giornali di Hong Kong mette alla prova il rigore morale dei dirigenti del colosso televisivo, la ghigliottina sui presunti colpevoli potrebbe non bastare a cancellare l’onta; al contrario, rischia di trascinare l’emittente nel baratro.