Nuovo episodio di violenza sessuale a New Delhi, ma stavolta ci sono di mezzo Uber, app americana di servizio taxi privato e più conveniente della concorrenza "ufficiale", e soprattutto le prossime elezioni locali qui nella capitale, previste per l’anno prossimo. Condizioni utili per costruire e gonfiare un caso distogliendo lo sguardo dai problemi veri.
Prima la notizia, molto condensata, per arrivare poi a un po’ di background e ragionamenti del caso. Venerdì scorso una ragazza di 26 anni viene violentata da un tassista – Shiv Kumar Yadav, 31 anni – che aveva contattato utilizzando la app di Uber. Denuncia tutto alla polizia e domenica lo stupratore viene arrestato.
Nel frattempo monta una polemica politicamente pericolosa. Mancano pochi giorni all’anniversario del caso di Nirbhaya, violentata e uccisa da un gruppo di uomini mentre tornava a casa su un autobus in servizio oltre l’orario consentito, e l’opinione pubblica si è fatta sempre più sensibile alla questione della sicurezza delle donne in città.
Questione seria ma marginale nell’insieme delle violenze sessuali che occorrono nel paese, la stragrande maggioranza delle quali avviene all’interno delle mura domestiche e coinvolge persone vicine alla vittima, non sconosciuti.
Si tratta di una bomba ad orologeria, considerando che per il prossimo anno sono previste le elezioni per il governo locale di New Delhi, e nella tornata elettorale precedente – a ridosso del caso Nirbhaya – l’amministrazione dell’Indian National Congress aveva pagato un prezzo salatissimo alle urne a causa dell’inazione imputatagli prima, durante e immediatamente dopo la morte della ragazza.
La strategia del Bharatiya Janata Party (dato per favorito alle urne) è molto chiara. Lunedì una circolare del governo ha "bloccato" le operazioni di Uber a Delhi. O almeno così recita il documento, sorvolando sull’efficacia di una misura simile, siccome Uber – come da termini per l’utilizzo del servizio – non si ritiene responsabile della sicurezza dei passeggeri sui taxi. Si limita a mettere in contatto domanda ed offerta: hai bisogno di un taxi? Noi ti mettiamo in contatto col tassista e poi ve la vedete voi.
L’app al momento è ancora scaricabile dall’app store di Apple e, presumo, anche da quello per telefoni Android. Un blocco effettivo dovrebbe prevedere controlli a tappeto di tutti i taxi Uber, che non mostrano alcun segno identificativo, essendo privati.
Il blocco di Uber, nel dettaglio, viene intimato per motivazioni che nulla hanno a che vedere con le violenze sessuali nel paese. Uber, sostiene il governo, non garantisce che i tassisti del suo circuito abbiano la licenza specifica per operare all’interno del territorio della capitale. Un cavillo burocratico, insomma, tra l’altro comune a tutti i servizi di radio-taxi attivi qui a Delhi anche da anni.
L’impressione che viene data all’opinione pubblica, però, è quella di una multinazionale straniera che viene in India ad operare fuori dalla legge che, in teoria, garantisce la tanto agognata sicurezza per le donne che utilizzassero taxi di notte. Ancora più chiaro: noi come India, noi come governo, abbiamo fatto tutto per bene; è Uber che non rispetta le leggi e guardate cosa succede quando non si rispetta la legge!
Il problema è che le leggi in materia non sono molto chiare e vengono quasi sempre disattese – vuoto legislativo in cui Uber si infila in vario modo in ogni parte del globo. Nella specificità indiana, Uber – come tutte le altre compagnie di radio-taxi – non svolgeva controlli sul background dei propri tassisti, basta che abbiano una licenza governativa per guidare il taxi. E questo tipo di licenze è facilissimo da ottenere, pagando, o da falsificare.
Altro problema: il tassista stupratore aveva presentato un certificato del posto di polizia di Delhi Sud dove venivano specificate residenza e fedina penale pulita. Si tratta di un’autocertificazione che chiunque voglia risiedere in India deve consegnare agli organi di polizia locali. Peccato che Yadav non risiedesse all’indirizzo specificato e, soprattutto, avesse precedenti penali passati in giudicato: nel 2011 si era fatto alcuni mesi di carcere per un altro stupro che aveva commesso mentre guidava il suo taxi e ora era libero su cauzione (pare anche fosse stato arrestato per stupro nel 2013, ma notizia da confermare). Nessuno però aveva controllato: né Uber né gli organi di polizia locale.
La reazione sproporzionata del governo centrale è palese: il nesso logico tra uno stupro occorso su un taxi Uber e la messa al bando del servizio Uber (assieme a un’altra manciata di radio-taxi service, esclusi quelli registrati all’Economy Radio Taxi Scheme di New Delhi) è di difficile comprensione, come lo era stato a suo tempo il divieto di tendine nei bus locali o la creazione di una "banca per le donne". Tutte iniziative di distrazione di massa, su cui ci si può costruire un caso da usare a fini elettorali.
Si presenta quindi una serie di leggi e regole sistematicamente disattese da chiunque – discorso valido per i radio-taxi come per i riksha a tassametro, il pagamento delle tasse, le licenze per alcolici nei locali, i permessi di soggiorno, i permessi di lavoro – come assicurazione ultima del perfetto funzionamento della società indiana.
Qui esiste un problema di law and order, come si dice, e un problema di violenze sessuali. Sovrapporli è tremendamente misleading, prendendo a prestito le parole del governo contenute nell’accusa a Uber. Ma anche molto efficace quando si va alla conta dei voti.
[Scritto per Elefanti a parte, ospitato da East online]