India – Perché serve un ministro dello yoga

In by Gabriele Battaglia

Nel recente rimpasto e allargamento della squadra di governo, il premier indiano Narendra Modi si è inventato una nuova carica: il ministro dello yoga. Frizzi e lazzi nelle redazioni del globo. Qui, nell’ostinata convinzione che Modi non sia né un pagliaccio né uno stupido, proviamo a ragionarci allargando un po’ la questione. Partiamo dal nome esteso, ovvero Ministro di Ayurveda, Yoga & Naturopatia, Unani, Siddha e Omeopatia (abbreviato, Ayush). Precedentemente, l’insieme di queste pratiche medicinali, fisiche e spirituali che noi diremmo "alternative" era un dipartimento sotto il Ministero della Sanità. Con la rivoluzione di Modi, ora guadagna un maggiore grado di autonomia, seppur sempre si tratti di un Ministry of State, cioè un Ministero minore all’interno del governo federale.

Il dicastero è stato affidato a Shripad Yasso Naik, ex deputato dello stato di Goa in forze al Bharatiya Janata Party (Bjp), che avrà il compito di promuovere dentro e fuori dall’India la cultura e la tradizione indiana legata alle pratiche di cui sopra. Si tratta di eredità culturali millenarie, di cui l’India e gli indiani sono – a ragione – molto orgogliosi.

Lasciando perdere al momento le medicine tradizionali, concentriamoci sul concetto di yoga, consci del fatto che "ministro dello yoga", come dicitura, susciti un’immagine/ossimoro di una carica istituzionale sdraiata su un tappetino di gommapiuma a fare il suryanamaskar (il saluto al sole, una delle svariate posizioni – asana – dello yoga "fisico". Poi ci arriviamo meglio).

Cosa che, tra l’altro, Narendra Modi sostiene di fare ogni giorno, nella sua sessione yogica mattutina, abitudine che non manca di ribadire in ogni incontro con capi di stato stranieri (ne ha parlato con Obama e al premier australiano Abbott ha regalato un libro sullo yoga, ad esempio).

Lo yoga, per Modi e, in generale, per l’ala nazionalista hindu che il premier rappresenta, ha un enorme valore identitario. La Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), organizzazione paramilitare ultrainduista, ha fatto della divulgazione dello yoga una vera e propria missione nazionale e internazionale, imponendo la pratica a tutti i membri (tra cui lo stesso Modi, che ci ha militato sin dall’età di otto anni) e organizzando seminari e lezioni di massa a scadenza regolare in tutto il paese.

Dare importanza ed esaltare i retaggi tradizionali indiani, in questo senso, aiuta il premier a rassicurare le frange più nazionaliste del suo elettorato (un po’ come la storia della chirurgia plastica di Ganesha), a dimostrare che, mentre corteggia investitori e compagnie straniere, rimane comunque un baluardo di fronte all’avanzata delle pratiche occidentali, alla corruzione dei "costumi indiani" rappresentata – in vari gradi di intransigenza – dall’uso della lingua inglese, dalle minigonne, dai social network, dai film occidentali, dal sesso, dai baci in pubblico, sposarsi non tramite matrimonio combinato ecc.

Nella storia recente di Modi, una particolare attenzione allo yoga non è nulla di nuovo. Nel 2013, ad esempio, ha inaugurato ad Ahmedabad (nel "suo" Gujarat, quando era chief minister) la Lakulish Yoga University, la prima università dello yoga della nazione. Qui sotto un video, in hindi, col suo discorso integrale. Ma guardatevi anche solo i primi 30 secondi, per apprezzare la solennità e pomposità del tutto.

Sul portale personale del premier – un sito che pare, a tratti, un trattato di culto della personalità – il post dedicato all’evento è ricco di materiale utile a spiegare un’idea di yoga un po’ più aderente ai principi ispiratori della pratica, prima che diventasse, a livello mondiale e anche in India (purtroppo), una valida alternativa etno-chic al tapis roulant o all’aerobica.

"Lo yoga – spiega Modi – è un insieme di gyan (conoscenza), karm (lavoro) e bhakti (devozione)". Lo yoga che si pratica nelle palestre italiane, in larghissima parte, non è Yoga con la y maiuscola. È una parte dello yoga, una componente di un percorso che è sia spirituale che fisico.

Quando si parla con qualcuno che di yoga ci capisce davvero, la prima cosa che ti dicono è che lo yoga è "consapevolezza": si può fare yoga giocando a pallone, suonando uno strumento, meditando, camminando, cucinando, facendo l’amore, facendo un po’ quello che vi pare. (Siccome io non ne so molto di yoga, chiederò a qualche amico esperto di fare un pezzo ad hoc, così almeno questa cosa la chiariamo un po’ meglio).

In un altro felicissimo paragone di Modi, sempre all’inaugurazione dell’università dello yoga di Ahmedabad, l’allora chief minister spiegava:

Alcuni pensano che asana e yoga siano la stessa cosa. Alcuni, siccome non riescono a piegarsi per bene, trovano lo yoga troppo difficile. Ma tutti questi sono yogi (chi pratica lo yoga davvero, con tutte le componenti, ndr)? Se saper fare gli asana significasse fare yoga, allora tutti gli artisti circensi potrebbero essere degli yogi!

Modi, facendosi portavoce di una parte consistente dell’opinione pubblica indiana, sostiene ragionevolmente che lo Yoga sia un "regalo" fatto dall’India al pianeta Terra, concetto che ha esposto all’ultima assemblea delle Nazioni Unite, quando ha avanzato la proposta di indire una giornata internazionale dello yoga.

Portare questi temi sui tavoli internazionali, banalmente, alimenta la costruzione di un immaginario collettivo indiano, diventa uno strumento del soft power, riappriopriandosi di una tradizione con gli anni arrivata in occidente spesso totalmente snaturata.

Esempio eclatante è il celeberrimo Bikram Yoga, l’insieme di 26 posizioni commercializzato con un successo strabiliante da Bikram Choudhury, ex campione di yoga indiano (sì, ci sono i campionati di yoga, a chi fa gli asana meglio, e Bikram ha vinto tre volte di fila negli anni ’60, ritirandosi imbattuto), questo genio qui sotto.

Mr. Choudhury si è inventato una sequenza personalizzata di asana – alla quale ha dato il proprio nome, Bikram – e l’ha pubblicizzata in mezzo mondo, inserendo una componente abbastanza glamour da renderla appetibile alle star di Hollywood: questo "yoga" si fa in una sauna, temperatura minima 40 gradi, così mentre fatichi come un animale da soma butti giù i chili più in fretta e ti senti meglio. O, come direbbe Bikram, lo facciamo al caldo "ricreando le condizioni climatiche indiane".

Bikram è diventato miliardario, vive negli Usa, ha fissato a Los Angeles il suo quartier generale yogico e nel 2013 è stato denunciato da cinque allieve per molestie sessuali e tentato stupro.

Ecco, l’obiettivo di Modi è riappropriarsi della paternità di queste tradizioni indiane (i cinesi, con enorme successo, l’hanno fatto con l’agopuntura, il kung-fu e il tai-chi) e ricondurre lo yoga a un immaginario legato alla sua vision di India: paese moderno ma legato alla tradizione, aperto a tutti ma orgoglioso della propria cultura, che esalta e difende in contrapposizione con l’appiattimento della globalizzazione.

Insomma, questa storia del ministro dello yoga, alla fine, fa meno ridere di quanto ci si aspettasse.

P.s. Per gli appassionati dei Surviving Delhi, nel 2011, quando per la prima volta provai a fare yoga in Bengala, scrissi questa cosa qui, intitolata Lo yoga senza pantajazz. 

[Anche su East Rivista di Geopolitica; foto credit: daily.bashkar.com]