India – Marò invischiati tra giurisdizione e pena di morte

In by Simone

La volontà dell’India di ricorrere al Sua Act, legge federale che prevede la pena di morte in caso di omicidio in mare, è interpretata come volontà di mandare al patibolo Latorre e Girone. Ma Delhi vuole proteggere, a norma di legge, la propria giurisdizione, senza impiccare nessuno.
Gli ultimi sviluppi nel caso dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da quasi due anni con l’accusa di omicidio di due pescatori indiani scambiati per pirati, fanno riemergere la preoccupazione nazionale per il rischio di applicazione della pena di morte nei confronti dei due soldati.

Si tratta però di un abbaglio che nonostante le svariate rassicurazioni – sia da parte indiana, dal parlamento e dal ministro degli Esteri Khurshid, che da parte italiana con l’inviato speciale De Mistura – dopo mesi ancora fatica ad essere archiviato dalla stampa nostrana.

Su queste pagine, a più riprese, abbiamo specificato che la pena capitale, in India, viene applicata solo in casi eccezionali ("rarest of the rare"). In numeri, quattro volte negli ultimi 20 anni. E l’incidente che ha coinvolto gli uomini a bordo della petroliera Enrica Lexie, secondo le rassicurazioni ufficiali di Delhi, non rientra nella casistica.

Il malinteso continua però a tenere banco a causa della complessità legale e burocratica del caso, affidato dalla Corte Suprema a una delle polizie federali indiane, la National Investigation Agency (Nia). La scorsa settimana si è tenuto a New Delhi un vertice tra il ministro della Giustizia Kapil Sibal, il ministro degli interni Sushilkumar Shinde e il ministro degli Esteri Salman Khurshid, con l’obiettivo di definire come la Nia debba procedere alla formulazione dei capi d’accusa davanti alla Corte speciale che dovrà giudicare Latorre e Girone.

Il problema risiede nel vincolo che l’agenzia avrebbe a livello giuridico, obbligata a rifarsi al Sua Act, la legge che permetterebbe – secondo il sistema legale indiano – di reclamare la giurisdizione del caso ma che, all’articolo tre, obbliga l’accusa a richiedere la pena di morte nel caso di omicidio in mare.

Secondo indiscrezioni pubblicate dall’Hindustan Times, la Nia sarebbe pronta a procedere chiamando l’applicazione del Sua Act, eventualità che in Italia è stata percepita come volontà di applicare la pena di morte.

Ipotesi esclusa totalmente dall’inviato De Mistura"è inapplicabile" – che parallelamente ha lamentato il ritardo della Nia nel formulare i capi d’accusa, attesi per lo scorso 8 gennaio e rimandati ora verosimilmente entro la fine del mese.

L’India si ritrova quindi in un impasse politico-burocratico: da un lato non è intenzionata a rinunciare all’estensione della propria sovranità (reclamata, secondo le leggi nazionali, fino alle 200 miglia nautiche della zona economica esclusiva), ma dall’altro non può venir meno alle rassicurazioni sull’inapplicabilità della pena di morte date a Roma e, soprattutto, al principio del "rarest of the rare".

Per uscire dal vicolo cieco, riporta la stampa indiana citata anche da De Mistura, la Nia potrebbe chiedere l’applicazione del Sua Act e, contemporaneamente, la non applicabilità della pena di morte, rifacendosi alle dichiarazioni del ministro Khurshid rilasciate davanti all’assemblea parlamentare federale. Una decisione delicata che, secondo il ministro Shinde, sarà presa all’inizio di questa settimana.

[Pubblicato sul manifesto; foto credit: wikipedia.org]