Dopo la repressione della manifestazione contro il bigottismo della società indiana organizzata a Kochi lo scorso 2 novembre, la Kiss of Love si sta diffondendo come un virus benigno in tutto il paese. In due settimane, quasi tutte le principali metropoli hanno registrato proteste gemelle, segno che la questione della libertà sessuale è un tema di scontro nazionale e generazionale.
Nella città keralese di Kozhikode, verso la fine di ottobre, un gruppetto di attivisti del Bharatiya Janata Yuva Morcha (Bjym), l’ala giovanile del partito nazionalista hindu Bharatiya Janata Party (Bjp) – ora al governo – ha attaccato il Downtown Café, ristorante di fresca apertura reo di “facilitare attività immorali per gli studenti”. Fuor di politichese, nel locale i ragazzi potevano tenersi per mano, baciarsi magari, insomma: fare le coppiette.
L’immoralità delle manifestazioni pubbliche d’affetto, in India, è generalmente considerata come oltraggio al pudore, un reato per il quale il codice penale indiano prevede pene detentive fino a tre mesi. Quando la solerzia delle forze dell’ordine non riesce a garantire il rispetto della condotta morale pubblica, entra in gioco la cosiddetta “moral police”, gruppi di giovani vigilantes solitamente affiliati alla costellazione della destra indiana che intervengono con le maniere forti laddove la morigeratezza dei costumi – componente diventata fondamentale nel corredo della “tradizione indiana” da proteggere contro l’avanzata del libertinismo occidentale – fosse attaccata da effusioni in pubblica piazza.
In tutta risposta, un gruppo di ragazzi di Kochi ha organizzato una manifestazione pubblica raccogliendo adesioni su Facebook. Il 2 novembre, si sarebbero trovati tutti sul lungomare e si sarebbero baciati davanti a tutti, contro la “moral police” e il bigottismo imperante. La protesta, chiamata Kiss of Love, ancor prima della data stabilita aveva incassato già le critiche di quasi tutti i partiti politici locali – dalla Muslim League al Bjp, passando per il “centrosinistra” dell’Indian National Congress – in disaccordo nel merito e nel metodo della manifestazione.
Anche le autorità di polizia di Kochi avevano cercato di dissuadere i ragazzi, minacciando arresti per atti osceni in luogo pubblico e manifestazione non autorizzata.
Arresti che, puntualmente, sono arrivati il primo pomeriggio del 2 novembre, quando un’ottantina di ragazzi e ragazze ha provato a portare avanti la protesta, circondati da un dispiegamento di forze ingente, curiosi e frange della destra indiana, ad urlare slogan nazionalisti.
Con 80 persone in fermo e video degli arresti trasmessi a ciclo continuo dalle televisioni nazionali (e virali, su internet), la Kiss of Love keralese non avrà raggiunto l’obiettivo prestabilito – baciarsi in barba alla legge e ai bigotti – ma ha scatenato un tam tam in tutta la nazione. Segno che l’oppressione subìta dai giovani indiani nell’interezza della sfera sessuale – estendibile anche al consumo di alcolici e al vestiario “indecoroso” per le donne – è tema di scontro nazionale. Generazionale.
In due settimane analoghe proteste si sono tenute nei campus universitari di Kolkata, Delhi, Mumbai, Hyderabad, Chennai, Trivandrum tra le altre, mentre nella capitale indiana, due weekend fa, un gruppo del collettivo studentesco della Jawaharlal Nehru University ha portato la Kiss of Love di fronte alla sede locale della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), una delle principali sigle ultranazionaliste hindu del paese, spina dorsale del Bjp.
Ci sono stati scontri ma nessun arresto e sui media nazionali si parla, finalmente, del tema della protesta. Che va ben oltre la libertà di darsi un bacio in pubblico.
«Vogliamo la libertà di esprimere il nostro amore. Baciarsi e abbracciarsi sono presenti nei nostri veda (testi fondanti della religione induista, ndr), sui muri di Khajuraho (sito archeologico con bassorilievi dall’alto contenuto erotico, ndr)» ha dichiarato uno studente di Delhi all’Hindustan Times.
L’attacco della Kiss of Love punta all’impianto ideologico su cui poggia la destra indiana, alimentandosi di una contrapposizione spesso artefatta tra la “cultura indiana” e le pratiche, disdicevoli, importate dall’Occidente. Baciarsi in pubblico, per gli ultrainduisti, è una cosa da occidentali; una cosa che, un buon indiano, non deve fare.
Tra i vari commenti di intellettuali e personalità di spicco dell’intellighenzia indiana o del mondo dello spettacolo, la scrittrice femminista Urvashi Butalia è forse stata capace meglio di altri di evidenziare l’assurdità delle tesi ultrainduiste. In un articolo intitolato Kiss of Love: Public kissing Western? Public pissing indian, pubblicato su dailyo.in, si chiede: «Perché baciarsi all’aperto è così scandaloso, mentre non lo è pisciare all’aperto? È forse perché tirare fuori i propri genitali di fronte a tutti e svuotare la vescica è una "cosa da indiani"? Che sia una cosa davvero indiana non c’è dubbio, non conosco altre culture che abbiano quest’abitudine, forse quindi farne una questione identitaria lo rende un gesto accettabile».
Mentre il dibattito si anima in rete e foto di baci in pubblico dimostrano l’adesione virtuale di decina di migliaia di indiani – residenti e non – la politica tace. Non una parola dal primo ministro Modi, non una dichiarazione di peso dalle parti dell’opposizione.
Come davanti alle effusioni in pubblico, i potenti del paese girano lo sguardo altrove, nella speranza che le intemperanze dei giovani indiani si spengano da sé, inghiottite dal silenzio di una società forse ancora troppo insicura per affrontare a viso aperto uno dei più salutari effetti collaterali della globalizzazione.
[Scritto per Lettera43; foto credit: zeenews.com]