India – La più grande democrazia del manganello

In by Simone

Il rapporto annuale di Human Rights Watch dedicato all’India mette in luce il lato violento della repubblica indiana. Kashmir, Bengala Occidentale e il "corridoio rosso" sono da anni teatro di crimini orribili perpetrati dalle forze armate indiane. E il governo sembra non occuparsene.
"L’India, la democrazia più popolosa del mondo, continua ad avere una situazione dei media vibrante, una società civile attiva, una giustizia rispettata e significativi problemi di diritti umani”.

Questo l’inizio il rapporto annuale della Human Rights Watch dedicato all’India, pubblicato a fine gennaio. Sublimata in due righe c’è l’immagine di un Paese generalmente portato come esempio positivo di democrazia applicata ad un gigante del mondo asiatico, spesso in contrapposizione col regime totalitario di Pechino.

Ma la democrazia indiana, come la dittatura cinese, è affetta da molti effetti collaterali del progresso che il puntuale appuntamento alle urne garantito dalla Costituzione non sembra essere in grado di curare.

Le fisiologiche controversie in uno Paese-continente da un miliardo di abitanti vengono affrontate troppo spesso usando la tecnica del manganello, sciogliendo il braccio della legge e delle forze dell’ordine dagli obblighi del rispetto dei diritti umani che l’India, aderendo al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, si impegna formalmente a rispettare.

Le forze armate, chiamate a difendere i confini più sensibili della federazione, ciclicamente si lasciano andare a terribili episodi di abuso di potere, coperti dall’impunità garantita dal governo.

E’ il caso del Kashmir dove, si legge nel rapporto, nel 2011 la polizia trovò 2730 cadaveri sepolti in 38 fosse comuni. Di questi, almeno 574 sono stati identificati come kashmiri, mentre la versione ufficiale dell’esercito sosteneva fossero cadaveri di milizie pakistane.

L’esercito indiano in Kashmir, protetto dall’Armed Forces Special Powers Act (AFSPA), da anni si macchia di crimini contro la popolazione locale, esercitandosi in rastrellamenti, incarcerazioni di massa, tortura e misteriosi decessi durante la detenzione di sospettati.

Proprio oggi il quotidiano The Hindu è uscito con uno scoop raccontando come, negli ultimi 4 anni, il Ministero degli Interni abbia bloccato 42 procedimenti penali ai danni di elementi dell’esercito trovati colpevoli, tra gli altri, di omicidio e stupro.

Il copione si ripete lungo il confine orientale, dove lo strapotere della India’s Border Security Force (BSF) giustificato dalla lotta all’immigrazione clandestina proveniente dal Bangladesh, è sistematicamente macchiato da episodi di violenza gratuita contro la popolazione inerme.

La questione è tornata attuale alla fine del 2011, quando un video girato con un telefonino venne reso pubblico sui media indiani: nel filmato un gruppo della BSF insultava e malmenava Habibur Rahman, un ventiduenne bangladeshi che stava contrabbandando mucche.

Dopo un esposto ufficiale del Ministero degli Esteri di Dhaka, otto guardie della BSF sono state sospese.
Secondo il rapporto di Human Rights Watch, in dieci anni le BSF hanno “ucciso indiscriminatamente oltre 900 persone tra indiani e bangladeshi”.

Altro tema caldo sono gli espropri terrieri ai danni di contadini, obbligati a svendere i propri campi per lasciare spazio alla costruzione di infrastrutture e fabbriche che vanno ad arricchire la grande imprenditoria nazionale ed internazionale assieme ai politici locali.

Operazioni di questo tipo sono terreno fertile per l’avanzata del terrorismo naxalita, organizzazione di stampo maoista che spesso viene supportata dagli strati più indigenti della società indiana. Per molti, lungo il "corridoio rosso" che si estende dal Bengala Occidentale all’Andhra Pradesh, sono i miliziani naxaliti i difensori degli interessi dei più deboli.

Contrastare i naxaliti è uno degli obiettivi primari dell’amministrazione Singh ma ancora, spiega il rapporto, la libertà di azione garantita agli Special Police Officers – gruppi paramilitari governativi recentemente dichiarati illegali dalla Corte Suprema – ha creato i presupposti per sistematiche soppressioni dei diritti umani nelle zone ad alta infiltrazione naxalita come il Chhattisgarh.

La lotta senza quartiere ai maoisti, che nel novembre 2011 ha messo a segno un duro colpo uccidendo il leader storico Kishanji in un agguato nel Bengala Occidentale, va di pari passo con le violenze subite dai civili: le fonti governative sostengono di aver ucciso 180 terroristi maoisti nel 2011, ma secondo gli attivisti locali molte vittime della lotta al terrorismo non avrebbero niente a che vedere con l’organizzazione naxalita.

Nel complesso emerge un’India violenta che siamo poco abituati a considerare, ma che qui, assieme alla lotta alla corruzione e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione rurale e degli slum, rappresenta un problema serio e concreto.

Dietro al mito della democrazia più grande del mondo, c’è anche questo.

[Foto credit: boston.com]