Li Keqiang. Candidato premier per un pelo

In by Simone

Li Keqiang ha una buona preparazione intellettuale, ha respirato un’aria più liberale negli anni universitari e ha l’appoggio, da sempre, di Hu Jintao. Il profilo dell’attuale vice premier, “Tre incendi Li”, candidato a sostituire Wen Jiabao dal 2013.
Mettiamola così: un giorno nel 2007 i due candidati a diventare i leader della più grande potenza mondiale incontrano un rappresentante dell’Impero pronto a passare la mano.

Lo incontrano in cene separate. Poi l’ospite riporta in un documento le impressioni avute dalla cena, in modo da fare capire ad altri, in un altro luogo, le caratteristiche dei commensali.

Più che tratteggiare un profilo, però, sceglie un’asettica strada di citazioni: li lascia semplicemente parlare, registrandone alcuni passaggi durante le conversazioni.

Il primo dei due invitati è un condensato di energia raccolto in un fisico imponente, snocciola opinioni, pensieri, azioni e specifica – tra una cosa e l’altra – di amare i film western. Impazzisce per Salvate il Soldato Ryan e si compiace che i film americani abbiano sempre un lieto fine. Nel suo paese, racconta, spesso i registi non sottolineano i valori che dovrebbero promuovere.

L’altro invece durante la cena infarcisce il suo ospite di dati, di parole sulla necessità di aumentare il livello di vita della popolazione, sulla necessità di proseguire sulla strada intrapresa. E’ ebbro di riferimenti storici e preparato. Più di ogni altra cosa: sfinisce il suo ospite con un termine ben preciso: con l’utilizzo reiterato della parola xiaokang. L’ospite non capisce, o non approfondisce.

La cena era organizzata dall’allora ambasciatore Usa Clark Randt. Il primo dei due ospiti diventerà il capo. Il secondo è Li Keqiang.

L’uomo che appare come un teorico, anche aperto a soluzioni sperimentali per la società cinese, ma senza la forza d’urto del guerriero. Uno che sembra a proprio agio dietro le quinte, a imbeccare il capo popolo del caso, le cui buone idee – senza un’abile bocca capace di far sognare – rischiano di finire come quelle paventate dal suo predecessore, ovvero perse nel vento pechinese. Parole che diventano retorica, populismo e poco altro.

Li Keqiang è il favorito a diventare nuovo premier della Cina dal 2013. Dal 2007 è uno dei quattro vice premier di Wen Jiabao con incarichi su materie economiche e ambientali.

Uno che potremmo considerare già in seconda fila, oppure novello Tossaint L’Overtoure, ancora a cucinare nelle attrezzate case dei potenti pronto ad imparare al meglio i trucchi per sfoderare una tattica improvvisa, sfruttando il cambiamento di situazioni di partenza. Solo che Li Keqiang non ha i loa haitiani dalla sua parte. Ma aveva la rivolta tra le dita.

Li Keqiang infatti fa parte di quella che viene considerata la “classe 1982”, anno in cui un settore di quattrocento milioni di cinesi (su oltre 11 milioni di candidati) riuscì ad accedere alle Università più prestigiose dopo che venne restaurato il concorso d’ammissione (prima potevano solo i “proletari” patentati) nel 1977 e distinguersi in seguito. Figlio di un ufficiale di basso livello (Li Keqiang è nato nella povera regione dell’Anhui nel 1955) era stato mandato in campagna a rieducarsi durante la rivoluzione culturale. Giunto a Pechino, alla prestigiosa Beida, si distingue, appunto (viene anche eletto come rappresentante, attraverso elezioni universitarie).

E a ricordarlo, anni dopo, sono nomi che forse gli fanno sfumare la vetta politica. Wang Juntao, ad esempio: 5 anni di carcere per Tian’anmen, poi esiliato negli Usa. Era amico di Li e lo sottolineò anche attraverso articoli di giornale, una volta in America. O Yuan Zhiming scrittore, tra i più noti in quegli anni di contestazione. Primo segnale: Li Keqiang odora di sentimenti democratici.

Supera indenne gli anni universitari e inizia la sua lenta scalata nel Partito. E’ Hu Jintao a notarlo nelle file della sua cantera politica, la Lega dei Giovani Comunisti: Li Kekiang entra a pieno titolo nel carrozzone del Presidente e diventa, a detta di tutti, il suo favorito. Si prepara per questo compito: se Hu Jintao ha pennellato la società armoniosa come stigma teorico da associare al suo mandato, Li Keqiang ha già pronta la risposta da quinta generazione.

Xiaokang si diceva, ricordando la cena con l’ambasciatore Usa. Una parola cinese che squarcia l’inizio retorico con cui il novello politico letterato esordisce niente meno che sul Financial Times, il 9 gennaio 2011. Xiaokang riecheggia da una storia tratta dallo Shi Jing, il primo libro delle poesie cinesi, risalente a duemila anni fa. “Si assicuri xiaokang alla Terra di Mezzo e la prosperità regnerà”.

Peace and love sulla Muraglia, ma un impianto teorico degno di un grande, non certo di uno sparring partner. Xiaokang significa letteralmente moderata prosperità, è un termine confuciano ed è ciò che costituisce, secondo Li Keqiang, l’obiettivo della Cina entro il 2020. Ed ecco che il filo tra l’attuale estabilishment al potere in Cina e Li Keqiang si concretizza (la stessa parola era stata usata anche da Deng), non fosse stato per l’esplosione del vigoroso Xi Jinping e il suo codazzo reale. Non a caso un altro dei tasti su cui batte l’intelletto di Li Keqiang è lo sviluppo di un mercato interno, capace di rendere la Cina indenne da crisi internazionali. Media prosperità, mercato interno, uguale classe media. Li Keqiang è l’aura mediocritas che si fa Cina.

Oltre ad essere in odore di democrazia, però, Li Keqiang, appare anche sfortunato: è un particolare “non da poco – ha scritto il Financial Times – vista la natura superstiziosa della società cinese”. Li Keqiang diventa governatore dell’Henan quando esplode un incendio in un supermercato: 309 morti. Diventa segretario del Partito nel Liaoning: altra esplosione, questa volta in miniera. 214 morti.

E ancora peggio: in Henan c’è un’esplosione di vergogna sociale. Viene fuori uno scandalo legato a trasfusioni di sangue infetto. Prima di uscire allo scoperto migliaia sono le persone colpite, ammalate, morte. Li Keqiang sapeva e non ha detto nulla. Oppure non sapeva e forse è ancora peggio. Per i vecchietti raccolti a Zhongnanhai è un segnale nefasto. Hu Jintao si rassegna in quel momento, vedendo spianare la strada al non del tutto apprezzato Xi Jinping.

E “Tre incendi Li”, come viene soprannominato Li Keqiang, rischia di perdere tutto, perché il suo rivale nella corsa al premierato, Wang Qishan si comporta talmente bene nel 2003 con lo scoppio della Sars, da guadagnarsi il soprannome contrario, “il pompiere”. Brutti segnali.

Un viaggio in Europa, si dice, salva Li (che conferma poi le proprie potenzialità anche a Davos nel 2010, dove raccoglie la stima internazionale e convince definitivamente i più scettici a Pechino) e lo mantiene come il più probabile prossimo premier cinese.

Oggi è considerato “preparato” e potrebbe costituire una sorta di Wen Jiabao con gli appoggi liberali giusti. Nella sua posizione di seconda fila potrebbero infatti risiedere le speranza dei riformatori cinesi che si annidano nei tanti ruoli secondari o nelle province. Se i principini lo permetteranno e se a questo giro la fortuna assisterà “Tre Incendi Li”.