La pressione diplomatica italiana sull’India si sta intensificando, forte del sostegno dell’Unione europea e della Nato. Il grande assente rimane però l’Onu, che preferisce considerare il caso marò una questione bilaterale tra Roma e Delhi. Anche perché la liceità delle attività militari italiane in India è tutta da provare.
La diplomazia italiana è entrata ufficialmente in una nuova fase del braccio di ferro con l’India per la vicenda dei due fucilieri di Marina. Per raggiungere l’obiettivo prefissato, riportare a casa Latorre e Girone "in dignità", la Farnesina nelle ultime settimane ha intensificato gli sforzi internazionali per costruire attorno alla posizione italiana un gruppo di sostegno internazionale in grado di aumentare il peso specifico di Roma, ora che la Corte suprema si prepara a pronunciarsi definitivamente circa la legge da applicare nel caso Enrica Lexie.
Il 18 febbraio i giudici dovranno valutare la liceità del ricorso al Sua act da parte dell’accusa indiana, una legge anti pirateria descritta con un po’ troppa faciloneria giornalistica come norma "anti terrorismo", per la quale i due sottufficiali accusati di aver sparato contro il peschereccio St. Antony e ucciso due pescatori scambiati per pirati rischierebbero – stando alle indiscrezioni – un massimo di dieci anni di detenzione.
Il conto alla rovescia a martedì prossimo scorre inesorabile, ma ora il ministro Bonino, come ha riferito ieri mattina in Parlamento, può contare sul sostegno di due alleati di peso: l’Ue, che col commissario europeo per le relazioni esterne Cathrine Ashton ritiene «inaccettabile» considerare l’Italia «un Paese terrorista», e la Nato, preoccupata che il caso marò possa avere conseguenze pesanti sulla lotta alla pirateria internazionale.
Dopo quasi due anni di assertività e collaborazione formale con le autorità indiane, nella speranza di una risoluzione veloce ed equa del caso, Roma ora vuole alzare la voce e scongiurare l’ipotesi di un’imputazione in seno al Sua act che prevederebbe l’inversione dell’onere della prova. Ovvero, sarebbe la difesa a dover provare l’innocenza di Latorre e Girone, ribaltando la presunzione di colpevolezza dalla quale partirà la Corte speciale, a fronte di elementi probatori solidi che l’India dice di avere in proprio possesso.
Le dichiarazioni diramate dal governo indiano non lasciano trapelare alcuna soggezione nei confronti del blocco occidentale. Il portavoce degli Esteri Syed Akbaruddin, nella giornata di mercoledì, ha sottolineato la determinazione dell’India all’applicazione della severa legge nazionale anti pirateria, "anche se l’Italia sarà profondamente spiaciuta".
Il grande assente a livello internazionale è però l’Onu. Il segretario generale Ban Ki Moon ha infatti bollato la diatriba come una "questione bilaterale" dalla quale le Nazioni Unite vogliono tenersi alla larga. Una posizione "deludente", secondo Bonino, poiché il contrasto internazionale anti pirateria è sostenuto da diverse risoluzioni Onu.
Nello storico delle risoluzioni, consultabile online, l’elenco degli appelli ad una più intensa lotta alla pirateria si riferisce esclusivamente a territori limitrofi alla Somalia e al Golfo di Guinea. Le coste occidentali dell’India, affacciate sull’Oceano Indiano, rientrano nella cosiddetta "zona ad alto rischio pirateria" individuata dall’International Maritime Organization; caratteristica che, come prima conseguenza, ha comportato l’innalzamento esponenziale dei premi assicurativi per le navi cargo che transitano nelle vicinanze, nonostante negli ultimi anni – come certificato dall’International Chamber of Commerce – gli episodi di "pirateria o furto" si contino sulle dita di una mano: tre nel 2012, due nel 2013, tutti con ladruncoli locali che abbordavano petroliere ancorate al porto di Kochi per derubarle. I pirati dell’immaginario collettivo somalo, armati fino ai denti a sfrecciare sugli skiff per sequestrare i cargo, in India non ci sono.
Sotto il cappello dell’Onu, l’Unione europea è impegnata in una missione internazionale anti pirateria denominata Eu NAVFOR Somalia – meglio conosciuta come missione Atlanta – che vede partecipare l’Italia con mezzi militari e il dispiegamento di Nuclei militari di protezione sulle navi civili che ne richiedano i servizi: è il caso dei marò e della petroliera Enrica Lexie.
Al netto della legge La Russa del 2011, che dà il via libera all’utilizzo di militari su navi civili creando un corto circuito nella catena di comando a bordo – vertici militari responsabili delle operazioni anti pirateria, comandante della nave e armatore responsabili della navigazione – internazionalizzare il confronto con Delhi recriminando l’impegno a tutto campo nel contrasto alla pirateria aprirebbe – e probabilmente aprirà – il fianco a critiche severe da parte indiana.
Il raggio d’azione della missione Atlanta, infatti, è circoscritto a un’area identificata con un vago "al largo delle coste somale"; rimane da capire come il Kerala, a migliaia di chilometri dalla Somalia, rientri nelle acque dove proteggersi dalla minaccia pirata non risulti in una violazione della sovranità territoriale indiana.
[Scritto per il manifesto; foto credit: today.it]