«Una particolarità del governo cinese è quella di agire spesso come un elefante che ha paura di un topo». Parola di Evan Osnos, corrispondente del New Yorker a Pechino. Il topolino in questione è Liu Xiaobo, noto scrittore e dissidente, promotore del documento pro-democrazia Charta 08 che, a un anno dal suo arresto, è stato formalmente incriminato oggi, con l’accusa di incitamento alla sovversione dello Stato. Mercoledì la polizia cinese ha chiuso le indagini e inviato alla procura di Pechino gli incartamenti delle accuse contro lo scrittore. Solo due giorni prima, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian, la moglie, Liu Xia, aveva manifestato tutti i suoi timori per la sorte del marito.
«Non sono ottimista – si sfoga Liu Xia – personalmente mi preparo al peggio». E il peggio, «molto probabilmente», potrebbe voler dire una condanna a più di 10 anni di carcere, forse addirittura 15, il massimo della pena previsto per il reato di sovversione Cinquantaquattro anni, capelli tagliati corti, grandi occhiali che gli incorniciano il viso, Liu Xiaobo è noto al governo sin dal 1989, quando intraprese uno sciopero della fame per simpatizzare con i manifestanti che protestavano a piazza Tiananmen. Proprio a causa del suo sostegno al movimento studentesco Liu venne arrestato un a prima volta e incarcerato per due anni.
Così come nel ottobre 1996, quando venne condannato a tre anni di reclusione in un «campo di rieducazione attraverso il lavoro»,per aver messo in discussione l’operato del Partito comunista. Nel dicembre di un anno fa infine si è compiuto l’ultimo atto, per ora, della sua militanza in favore della libertà. Per celebrare i 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, Liu, insieme ad altri 300 tra intellettuali, attivisti e semplici cittadini, sottoscrive un appello al governo cinese a favore della democrazia e per il rispetto dei diritti umani, poi ripreso da migliaia di persone su internet. Il documento, noto come Charta 08, riecheggia la famosa Charta 77 degli allora dissidenti cecoslovacchi nel 1977. Così come il drammaturgo Václav Havel, estensore del documento cecoslovacco, condannato per questo a cinque anni di prigione, anche Liu è un intellettuale – un critico letterario e un saggista – e proprio come il dissidente dell’Est Europa anche Liu ha visto riaprirsi le sbarre della cella.
Prelevato dalla sua abitazione l’8 dicembre del 2008 Liu è stato sotto stretta sorveglianza in un luogo segreto per ben sei mesi, sino a giungo, quando il suo arresto è stato formalmente convalidato con l’accusa di sovversione. Considerato il più noto dissidente cinese può contare sull’appoggio dell’opinione pubblica, soprattutto occidentale, tanto da essere indicato dalla rivista Foreign Policy tra le personalità alle quali sarebbe dovuto andare il premio Nobel per la Pace. Nell’elenco stilato dalla rivista Liu è in buona compagnia nella lista dei personaggi che avrebbero potuto, ma non hanno mai vinto il premio: da Gandhi a Eleanor Roosevelt, da Havel all’attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa. Ma si sa, dispiacere la Cina di questi tempi è molto difficile e Pechino ha più volte manifestato la sua «irritazione» per i riconoscimenti concessi agli oppositori. Un veto che rende ancora più significativo il «non ho dubbi sull’esistenza di altri candidati che avrebbero potuto essere più meritevoli» pronunciato ad Oslo dal presidente americano Barack Obama prima di ricevere il Nobel per la Pace 2009.
Solo un mese fa a Pechino Obama aveva parlato di libertà con i leader cinesi, forse sollevando addirittura il caso di Liu, come chiesto dai gruppi per i diritti umani. Ieri però, ricordava l’avvocato dello scrittore, Mo Shiping, per Liu ci sarebbero state «poche speranze», come confermato dall’incriminazione odierna.
[Pubblicato su Il Riformista dell’11 dicembre 2009]