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In Cina, i ricchi piangono

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Anche i ricchi piangono. In Cina, sono lacrime di coccodrillo. Secondo le ultime classifiche annuali di Forbes e l’equivalente cinese, Hurun, le politiche sanitarie ed economiche introdotte da Pechino negli ultimi due anni stanno erodendo le fortune dei billionaire nazionali. I numeri dei due indici variano leggermente, ma le conclusioni sono le stesse: le sofferenze della Cina ricca sono perlopiù autoinflitte

Secondo la China Rich List, dall’inizio del 2022 solo 1.305 persone hanno conservato un patrimonio superiore ai cinque miliardi di yuan (690 milioni di euro), l’11% in meno dello scorso anno. Cala anche il valore complessivo delle ricchezze possedute: 3.500 miliardi di dollari, un 18% in meno rispetto allo scorso anno. Come fa notare Rupert Hoogewerf, fondatore della classifica, sono numeri che attestano la flessione peggiore in 24 anni. 

Dello stesso avviso Forbes, stando al quale quest’anno le 100 personalità più ricche di Cina hanno visto i propri averi diminuire di un terzo a 907,1 miliardi di dollari, rispetto agli 1,48 mila miliardi dell’anno prima. Solo due “paperoni” hanno riportato una crescita del proprio patrimonio, mentre 79 miliardari sono diventati più poveri. Tre sono invece i nuovi arrivati. Tra loro spicca il fondatore di Shein, Chris Xu, con una fortuna stimata di 10 miliardi.

I più colpiti dal trend discendente sono gli imprenditori dei settori immobiliare, tecnologico e sanitario. Colpa della recessione globale, ma non solo. Buona parte della responsabilità va attribuita alle misure adottate da Pechino per sgonfiare la bolla del mattone e mettere in riga le big tech cinesi. Sono ormai due anni che il governo guidato da Xi Jinping porta avanti una campagna di rettificazione per indurre i capitali privati a servire meglio gli interessi nazionali. 

La rivista americana ha espressamente citato tra le concause del crollo generalizzato la cosiddetta “prosperità comune”, concetto maoista rilanciato da Xi per combattere le diseguaglianze sociali. Gli imprenditori sono chiamati a contribuire con attività filantropiche e finanziamenti per emancipare le zone più arretrate del paese. 

Yang Huiyan, l’azionista di maggioranza di Country Garden Holdings, ha visto la sua fortuna precipitare del 59% a 10,7 miliardi di dollari, il crollo più netto nella lista di Hurun, mentre Hui Ka-yan, ex uomo più ricco di Cina, è precipitato al 172° posto dopo che China Evergrande – di cui è presidente – ha perso buona parte del suo valore schiacciato da oltre 300 miliardi di dollari di debiti. Pensare che vent’anni fa il real estate monopolizzava il 50% della lista; quest’anno si è ridotto ad appena il 10%. 

Ad aggiudicarsi la cima del podio è stato per il secondo anno consecutivo il patron di Nongfu, Zhong Shanshan. Oltre alla nota azienda delle acque minerali, Zhong possiede anche il gruppo produttore di vaccini Beijing Wantai Biological Pharmacy Enterprise: la sua fortuna è cresciuta a quota 62 miliardi di dollari, con un aumento del 17% rispetto allo scorso anno. 

Sul secondo gradino troviamo Zhang Yiming, fondatore di ByteDance, la casa madre di TikTok, che – nonostante la performance invidiabile – ha però visto sprofondare la propria fortuna del 28%, a 35 miliardi di dollari. Terzo classificato il presidente del gigante delle batterie Catl, Zeng Yuqun. Sul piazzamento non ha influito il crollo del 43% del patrimonio personale, ora intorno ai 29 miliardi di dollari. Scende invece al quinto posto il fondatore di Tencent, Pony Ma, che perde 14,6 miliardi di dollari. Che fine ha fatto Jack Ma? Dobbiamo arrivare addirittura alla nona posizione per trovare il papà di Alibaba, finito nel mirino dei regolatori statali nel 2020, all’inizio della stretta sul fintech.

Mentre quello in corso è un anno complicato per tutti, per le aziende private lo è particolarmente: più della metà delle società quotate in Cina ha registrato un calo dei profitti, perdite in aumento o una trasformazione dei profitti in perdite nel periodo gennaio-settembre. Proprio la brusca frenata del settore privato è da considerarsi tra le cause della crescita deludente dell’elevata disoccupazione giovanile. Nel terzo trimestre il Pil cinese si è espanso di appena il 3,9%, il ritmo più basso dall’annus horribilis di Wuhan. Con questi numeri servirebbe un miracolo per raggiungere l’obiettivo di crescita annuo del 5,5% stabilito inizialmente dalla leadership. 

Negli ultimi giorni rumors circa un possibile allentamento delle misure anti-Covid hanno scatenato le montagne russe sui mercati. La situazione politica non aiuta a stabilizzare i listini. L’annuncio della “nuova” leadership – che oltre a riconfermare Xi annovera nomi meno “liberal” di quanto sperato – ha fatto inabissare i titoli azionari e svalutare lo yuan ai minimi da 14 anni. Pechino ostenta sicurezza mentre corregge con cautela le restrizioni sanitarie. Ma sono proprio i ricchi il vero termometro della salute economica. 

Secondo un sondaggio condotto da Hurun, a gennaio circa il 32% dei 750 cinesi con un patrimonio netto elevato (5,8 milioni di dollari) per famiglia –  stava valutando la possibilità di emigrare entro fine anno. In confronto, nel 2021 solo il 14% dei rispondenti aveva in programma di lasciare il paese. Se si considera anche Hong Kong, la Cina è tra i primi cinque paesi al mondo per deflusso netto di cittadini ricchi. Lo rivelano calcoli di Investment Migration Insights di Henley & Partners che alla fine del secondo trimestre stimava le richieste di espatrio in Cina a oltre il 66% di tutta l’Asia orientale, e un +134% rispetto ai tre mesi precedenti. Allora, ancora in tempi non sospetti, la società di consulenza pronosticava entro fine anno la fuga di 10.000 individui con patrimonio netto elevato.

Chi non fa i bagagli, comincia a ricorrere a forme di resistenza “soft”. Secondo il New York Times, sono sempre di più gli imprenditori cinesi a sospendere gli investimenti nel paese, scoraggiati da un nuovo mandato Xi Jinping. “Depressione politica” è lo stato d’animo che domina tra la comunità d’affari. Per quarant’anni, oltre la Muraglia, ha dominato la logica del profitto. Ora che, come prima delle riforme denghiane, la politica permea di nuovo tutto è venuta meno la complice intesa tra classe dirigente e mondo imprenditoriale. Con all’orizzonte “pericolose tempeste” e “rischi senza precedenti”, Xi ha riposizionato al comando dell’economia il Partito/Stato. E il portafoglio dei billionaire si assottiglia.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su Esquire]